Centoventi denunce all’anno, dieci al mese, quasi tre la settimana. In aumento i risarcimenti a carico delle Ulss, anche se 9 casi su 10 vengono archiviati
Ma i casi risarciti al San Bortolo di Vicenza, ad esempio, sono, per la maggior parte, sotto i 50 mila euro. Si arriva raramente a 300-400 mila, e solo per interventi dell’area chirurgica che abbiano provocato danni permanenti.
L’Ulss 6 non fa eccezione al boom di esposti per presunta malasanità che si registra in tutta la penisola. Nel 2013 sono partite dagli studi legali italiani 35 mila denunce. In otto anni l’incremento è stato del 300 per cento. Sotto accusa medici, ospedali, strutture pubbliche e private per ipotetici danni causati da ricoveri, operazioni chirurgiche o terapie considerate sbagliate.
Trent’anni fa il camice bianco era considerato inviolabile. Ora siamo all’opposto; i pazienti sono più documentati.
In rete fioriscono i consulenti, C’è un’offerta quotidiana di istruzioni su come comportarsi se si resta vittime di malpractice medica; ci sono pure gli spot televisivi che spiegano cosa fare. Così aumentano i tentativi di manovre speculative: il 99 per cento dei procedimenti nasce da iniziative di privati e solo l’1 per cento è dovuto alla polizia giudiziaria, anche se poi su dieci esposti nove vengono archiviati e su cento casi di denunce solo uno si trasforma in reale condanna.
La prima conseguenza è, però, che lievitano sensibilmente i costi indiretti per il ricorso alla medicina difensiva, quella che “suggerisce” ai medici di stare fermi dinanzi a casi ritenuti a rischio, di prescrivere un numero massiccio di farmaci, di abbondare nella richiesta di analisi, raggi, visite specialistiche inutili, di ricoveri in ospedale di pazienti gestibili in ambulatorio, con un impatto pesante sulla spesa sanitaria.
Il secondo effetto negativo è che si moltiplicano gli importi dei risarcimenti, e che, quindi, di riflesso, sono andati alle stelle i premi da pagare per le polizze. Il risultato è che le società assicurative italiane ed estere di maggior blasone e con grossi capitali, quelle che darebbero massime garanzie e metterebbero al riparo da qualsiasi imprevisto, hanno abbandonato in massa il ramo sanitario, di fronte a richieste di risarcimento milionarie, a valutazioni del danno patito dai pazienti difformi nelle varie regioni, e all’assenza di paletti normativi (che l’Europa non vuole). Sono invece proliferate come i funghi le compagnie soprattutto dell’Est Europa con capitali sociali modesti, che nascono, cambiano spesso e rapidamente l’azionariato e, qualche volta, spariscono.
Società sospettate di infiltrazioni mafiose o di drogare il proprio rating. Anche se non si può generalizzare. E, comunque, tutto ciò che si trovano a disposizione le Ulss, che hanno assoluto bisogno di trovare una sponda assicurativa, dopo che, due anni fa, è fallito il progetto della Regione – proprio perché andata a incocciare contro una delle compagnie più chiacchierate, la City Insurance di Bucarest – di creare un sistema di appoggio alle Ulss per i danni oltre i 500 mila euro. Per queste compagnie soprattutto di marca romena, con capitali per lo più stranieri, la sanità è diventata un po’ una miniera d’oro. Al massimo sborsano all’anno come risarcimenti la metà di quanto incassano casti come polizza, e, per di più, come è capitato con AmiTrust, la compagnia che ha assicurato l’Ulss nel 2012-13, i pagamenti avvengono con enorme ritardo.
Franco Pepe – Il Giornale di Vicenza – 10 febbraio 2014