Proprio all’indomani del via libera alla fecondazione eterologa concesso dalla Corte costituzionale — era il 9 aprile — scoppia il caso di due biologhe che potrebbero perdere il posto a causa della scelta di oppore obiezione di coscienza alla procreazione medicalmente assistita (Pma). Succede all’ospedale di Rovigo: Maria Teresa Furin e Flora Formenton, da anni in servizio al centro di Pma, improvvisamente il primo aprile scorso hanno comunicato in forma scritta all’Usl 18 la loro decisione, entrata formalmente in vigore il primo maggio.
«E’ stato un fulmine a ciel sereno — commenta il dottor Giancarlo Stellin, primario del reparto di Ginecologia e Ostetricia — la dottoressa Furin lavora con me dal 1998, ha contribuito a creare il Centro di procreazione assistita, dove la collega Formenton presta servizio dal 2003 e nel 2010 ha ricevuto l’incarico di dirigente biologo, dopo aver vinto un concorso specifico indetto dall’azienda». In effetti il bando di gara è molto chiaro: «Oggetto: indizione di concorso pubblico per la copertura a tempo indeterminato di un posto di dirigente biologo per la disciplina di Patologia clinica da assegnare al Servizio di procreazione medicalmente assistita». Dunque per la Formenton non ci sono dubbi, mentre la Furin era genericamente indicata come biologa per il laboratorio d’analisi, al quale entrambe sono tornate. Rischiando il licenziamento o una riduzione di stipendio per mutati orari e mansioni.
Lo scorso 15 maggio il direttore generale dell’Usl 18, Arturo Orsini, ha infatti inviato una lettera alla Formenton, che recita: «Si fa presente sin d’ora che essendo lei stata assunta quale vincitrice di un concorso pubblico per la copertura di un posto di dirigente biologo per il servizio di procreazione assistita e permanendo la necessità dell’azienda di tale professionalità, al fine di evitare l’interruzione di pubblico servizio, si valuterà se procedere alla risoluzione del suo rapporto di lavoro e all’assunzione di altro dirigente». «Io devo garantire prima di tutto le pazienti, che prendono ormoni da mesi e non possono sentirsi dire che la terapia dev’essere interrotta per l’improvvisa defezione di parte del personale — spiega Orsini —. Ho il massimo rispetto del sentire etico di tutti, ma la mia prima funzione è assicurare l’assistenza e un biologo deve avere una preparazione specifica e complessa per lavorare in un centro di fecondazione assistita, non si può improvvisare. Il suo ruolo è cruciale. Per di più se assumo una persona per coprire un determinato incarico e all’improvviso non lo vuole più fare, non sono in torto io. E si crea il precedente». Per evitare di danneggiare le pazienti — 150 coppie in cura e altre 320 in attesa, con liste piene fino all’ottobre 2015 e una percentuale di riuscita del 26% — l’Usl 18 ha assunto una biologa che retribuisce a prestazione e un’altra con contratto di 50 ore settimanali. «Ma così pago quattro professioniste invece di due, con notevole dispendio di denaro pubblico — rileva Orsini — valuteremo il da farsi, cercheremo un compromesso». Il problema è nato perchè dal primo gennaio 2014 l’obiezione di coscienza è stata estesa dai medici (oltre l’80% dei ginecologi la oppone già all’aborto) ai biologi. Le protagoniste della storia non arretrano di un passo e si sono affidate al «Comitato Verità e Vita», che ricorda come il loro diritto sia sancito dall’articolo 16 della legge 40 sulla fecondazione assistita e come «oggi gli operatori si trovino davanti a nuove prospettive di trattamento degli embrioni, che possono creare problemi etici».
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 20 maggio 2014