Veneto Nanotech, il conto finale del «buco» è di 7 milioni di euro. E i creditori non protetti si vedranno restituire il 5%. Ma se non altro i laboratori di Padova e Rovigo riprendono quota. Oltre 40 milioni di euro investiti in tredici anni, un patrimonio dissipato o che passa di mano, per quel che si salva, a prezzi di saldo: 650 mila euro.
Si può tradurla anche così la drammatica fine di Veneto Nanotech, la società regionale per lo sviluppo delle nanotecnologie che consuma gli ultimi passi in tribunale. Il quadro complessivo del passivo creato dalla spa consortile, per il 76% della Regione, lo si ha nello schema di concordato preventivo, che il Tribunale di Padova ha appena ammesso.
E dunque la spina a Veneto Nanotech sarà staccata attraverso il concordato preventivo costruito da Gianluca Vidal e Mario Greggio, i consulenti di Gabriele Vencato, l’amministratore unico prima e liquidatore poi, a cui la Regione ha affidato l’ingrato compito di chiudere la società. Il Tribunale ha fissato al 27 maggio l’udienza per discutere la proposta; dieci giorni prima il commissario Michele Antonucci dovrà depositare la propria relazione, che evidenzierà eventuali elementi critici nello schema di concordato.
La proposta di Vidal e Greggio fornisce lo spaccato più aggiornato della crisi della società. La contabilità finale racconta di debiti accumulati per poco più di 7 milioni di euro, a cui si farà fronte con un attivo fissato in 4. Costruito a partire da crediti per oltre 3 milioni ritenuti ancora recuperabili. Quel che resta, dopo che buona parte dei contributi pubblici non ancora portati a casa per le ricerche non completate sono andati perduti.
Nella relazione si trova traccia anche della vita tormentata di Veneto Nanotech, con le varie cause che ne hanno solcato la vita. Come i 750 mila euro di contenzioso con il Civen, il consorzio interuniversitario che aveva mandato avanti la ricerca e liquidato nel 2013, facendo confluire tutto in Veneto Nanotech. O la causa di quattro anni fa con la Provincia di Padova per un contributo da 450 mila euro, negato dal Tribunale di Padova. Così come tra le cifre si scopre che Veneto Nanotech ha chiuso la sua corsa con 23 mila euro in cassa.
Sono poi parte dell’attivo per pagare i creditori le proposte d’affitto dei rami d’azienda, e poi di acquisto, avanzate a settembre dal gruppo vicentino Xmc degli imprenditori Silvio Xompero, Franco Masello e Andrea Camporese, confermate dal tribunale due mesi dopo. L’affitto dei laboratori Lann di Padova ed Ecsin di Rovigo, per la nanofabbricazione elettronica e le nanotecnologie per la sicurezza alimentare, è costato 52 mila euro; la proposta d’acquisto ne aggiunge altri 600 mila. E se per Padova e Rovigo, pur se a valori da liquidazione, c’è almeno un futuro, altrettanto non è per la struttura centrale di Marghera: nessuno si è fatto avanti. L’unica manifestazione d’interesse, avanzata a settembre dall’imprenditore Francesco Fracasso, si è fermata lì.
L’attivo dovrà tamponare debiti per 7 milioni: pesano per oltre 2 milioni ciascuna le voci di quelli con banche e fornitori. Ma ci sono anche quasi 400 mila euro con l’Università di Padova; e perfino 25 euro con il Comune di Cortina per una multa del 2012. Chissà, forse espressione dell’italianissima prassi di mettere in conto all’azienda le multe.
Di sicuro ai creditori chirografari resteranno le briciole. Dopo aver pagato 2 milioni di crediti privilegiati, tra cui 260 mila euro di Tfr dei dipendenti e 111 mila di crediti fiscali (ma anche i 290 mila euro agli advisor della liquidazione), in casa restano 350 mila euro. Sufficienti a restituire il 5% dei debiti rimanenti. Ovviamente i soci pubblici che avevano versato il capitale hanno perso tutto. A partire dalla Regione, con il suo 76%, che ha scelto di non ricapitalizzare nella primavera 2015, lasciando Veneto Nanotech al suo destino.
Vidal e Greggio nella loro relazione ricostruiscono anche come si sia potuti arrivare a tanto. Ne esce il quadro, secondo loro, di una società dotata di ricerca di prim’ordine, ma senza obiettivi chiari sui ricavi dalla ricerca applicata. Trovatasi a fronteggiare spese fisse ingenti, – dai 350 mila euro l’anno di manutenzioni, ai 300 mila euro di affitti – oltre a un contratto di fornitura di energia elettrica che costava da solo 400 mila euro l’anno.
Il colpo di grazia arriva dal 2011 in avanti, quando la spa coordinatrice, ingloba le società di ricerca. Risultato: il costo del lavoro raddoppia a 3 milioni l’anno, mentre i passivi accumulati risultano sono sempre più ingenti: 48 mila euro nel 2010, 1,5 milioni nel 2011, 600 mila nel 2012 e 900 mila nel 2013. Il destino a quel punto è già scritto. «A una gestione discutibile, incapace di valorizzare a livello industriale quel che si faceva e che ha attuato scelte come l’attivazione di tre sedi – spiega Emilio Viafora, l’ex segretario Cgil che per il sindacato ha seguito la fase finale della crisi – s’è aggiunta la scelta della Regione di non crederci più, rinunciando a qualsiasi idea su come ripianare i debiti e ripartire. Errore tragico, che ha determinato la chiusura di uno dei pochi nostri centri di ricerca».
Unica nota positiva è il salvataggio dei laboratori di Padova e Rovigo. Elemento sui cui gli advisor basano il vantaggio della via concordataria rispetto al fallimento. «Siamo attivi dal 17 novembre, ancora in una fase di rigenerazione, in cui però siamo riusciti a salvare i progetti europei con i loro contributi – sostiene Andrea Camporese, che segue per il gruppo Xmc i due laboratori, affiancati al ramo aziendale già esistente di Ecamricert -. Abbiamo iniziato riprendendo 5 ricercatori, un sesto inizia domani e stiamo rimettendo in moto le collaborazioni con Cnr e Università. L’obiettivo è basarci più sui ricavi dall’attività di ricerca con le aziende che non sui fondi pubblici. Si può fare, la prospettiva per noi c’è. Nel ramo dei laboratori del nostro gruppo lavorano 50 persone; qui se ne possono aggiungere altre 30. Certo, con le regole di un’azienda, non di un’ente pubblico».
Il Corriere del Veneto – 14 febbraio 2016