Ci sono prove che il virus sia correlato a danni cerebrali, ma probabilmente non è il solo responsabile di tutti i casi segnalati in Brasile. I nuovi test diagnostici, il dilemma dell’aborto e le rassicurazioni per le atlete olimpiche, Tania Cagnotto e Hope Solo
di Adriana Bazzi. C’è un nuovo indizio che il virus Zika possa essere legato alla comparsa di microcefalia nei feti (cioè di un cranio di dimensioni ridotte rispetto al normale) e ce lo fornisce uno studio di ricercatori sloveni dell’Università di Lubiana, sulle pagine dell’ultimo numero della rivista New England Journal of Medicine. Nell’ottobre scorso si era rivolta a loro una donna di 25 anni che aveva lavorato come volontaria in Brasile (nella zona Nord) e aveva accusato, quando era già incinta, sintomi attribuibili allo zika (febbre, dolori muscolo- scheletrici e eruzioni (rash) cutaneo). Le prime ecografie non avevano segnalato niente di anormale, ma un successivo esame aveva evidenziato, alla 29 settimana, una microcefalia del feto. La donna, a quel punto, ha scelto di abortire. L’autopsia sul cervello del feto ha evidenziato gravi anomalie e le analisi hanno confermato la presenza di particelle di virus. Non è una prova assoluta, ma è un’evidenza del legame fra zika e danni cerebrali fetali che si aggiunge ad altre due osservazioni.
Nel liquido amniotico
La prima prova è di ricercatori brasiliani, esperti mondiali di ecoencefalografia fetale, Gustavo Malinger e Renato Ximenes (che hanno pubblicato il loro lavoro nel gennaio scorso sulla rivista Ultrasound in Obstetrics an Gynecology): analizzando il liquido amniotico di due donne, con feti affetti da microcefalia vi hanno trovato il virus. Virus che, invece, non era più presente nel sangue della mamma: sarebbe la prima dimostrazione di trasmissione da madre a figlio di zika (trasmissione verticale). La seconda è appena arrivata dai Cdc di Atlanta, i Centri americani per il controllo delle malattie, che hanno individuato il virus zika nel tessuto cerebrale di due bambini con microcefalia, nati in Brasile da madri infette. Le prove, dunque, si stanno accumulando, ma, come ha sottolineato il direttore dei Cdc Tom Frieden, non ci sono dimostrazioni definitive. Il legame andrà verificato incrociando i dati della ricerca scientifica con le osservazioni epidemiologiche sulla distribuzione dell’infezione.
Tutte le microcefalie sono da zika?
Un legame fra zika e microcefalia ci sarebbe, ma a questo punto la domanda è: i 4 mila, e passa, casi segnalati in Brasile sono tutti da zika (il virus viene ora chiamato ZIKV) o sono dovuti ad altro? E poi: come si può diagnosticare la malformazione durante la gravidanza e in quale periodo? E che cosa fare se il feto è malato? Al momento il problema riguarda Paesi del Sud e centro America, ma sta arrivando da noi, con i casi di importazione, anche in Italia. Rispondere alla prima domanda, non è facile, ma dalla risposta dipendono una serie di scelte sanitarie e mediche sia per il Brasile (e i Paesi sud e centro Americani) sia per gli altri, Stati Uniti in prima linea (che sono quelli più vicini e per di più hanno sul loro territorio la zanzara che può trasmettere l’infezione). E poi ci sono i Paesi europei (che per ora stanno affrontando soltanto casi di importazione). Potrebbero, però, trovarsi nei guai se solo lo zika si adattasse a essere trasportato, invece che dalla zanzara Aedes aegypti, anche dall’Aedes albopticus, la zanzara tigre che da noi c’è. L’epidemia ha colto tutti alla sprovvista, nonostante il virus fosse noto fin dal 1947 e responsabile di alcune epidemie nella Polinesia francese in anni recenti.
Cronache brasiliane
Le cronache hanno cominciato a occuparsi di zika proprio perché in Brasile (soprattutto nella parte Nord-Est, una delle più povere) si sono segnalati extra-casi di bambini nati con microcefalia. E sulla scorta di queste segnalazioni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) l’uno febbraio scorso ha dichiarato che «gli episodi di microcefalia e di altri disordini neurologici (leggi: sindrome di Guillain Barré, un disturbo neurologico che può anche provocare paralisi), presumibilmente associati al virus zika, rappresentano un’emergenza internazionale di salute pubblica».
Casi annuali: i numeri
Prima del 2015, i casi annuali di microcefalia, riportati in Brasile, erano meno di 200; da metà del 2015, fino al gennaio del 2016, i casi “sospetti” sono diventati 4783. Ma di questi (come riferisce un articolo del 5 febbraio della rivista inglese Lancet) soltanto 404 sono stati confermati come casi di microcefalia vera, soltanto in 387 si sono dimostrate anomalie cerebrali e soltanto in 17 bambini (compresi due aborti) si è dimostrata la presenza del virus. «Il danno primario è quello cerebrale – precisa Luisa Di Luzio ginecologa e specialista in ecografia all’Ospedale Niguarda di Milano – poi è il cranio che si forma sull’encefalo».
Troppe segnalazioni
Ma perché è aumentata la segnalazione di casi di microcefalia? Una spiegazione sta nel fatto che, quando si comincia a parlare di una certa malattia, si aumenta l’attenzione e questo fa sì che la si cerchi con più impegno. E poi perché, negli ultimi tempi, si sono modificati i parametri per definire la microcefalia. Per semplificare: si fa riferimento a certe misure del cranio per etichettare come microcefali i bambini nati al nono mese, ma molti bambini, adesso, nascono pretermine, hanno chiaramente teste più piccole, ma non sono in realtà microcefalici. Conclusione: nel conteggio dei casi brasiliani possono essere finiti bambini prematuri con teste piccole, ma assolutamente normali.
Rosolia e citomegalovirus
Altro elemento da tenere in considerazione: non è solo il virus zika a provocare microcefalia. C’è anche quello della rosolia e il citomegalovirus. Per il primo esiste un vaccino consigliato per l’infanzia (in Italia e in altri Paesi) e disponibile per le donne non vaccinate, che non hanno contratto l’infezione e che vogliono un figlio. Grazie alla vaccinazione anti-rosolia, i danni provocati dal virus sono oggi limitati (comprendono, oltre che la microcefalia, anche cataratta, malformazioni al fegato e al cuore, sordità, disabilità motorie). Il Citomegalovirus è tuttora un rischio anche nei Paesi Occidentali: negli Stati Uniti, per fare un esempio, provoca 5000 casi di difetti alla nascita ogni anno. E in effetti uno studio pubblicato sul bollettino dell’Oms, alla fine di gennaio, mostra che in Brasile (e soprattutto nella zona del Nordest dove ora imperversa zika) ci sono stati, negli anni scorsi, picchi di casi di microcefalia probabilmente attribuibili ad altri microrganismi.
Ma adesso i casi stanno diminuendo
Attualmente le Autorità sanitarie dello stato di Pernambuco, nel Nord Est del Brasile (capitale Recife), uno dei più colpiti da zika, parlano di una riduzione di casi di microcefalia: erano 194 all’inizio di novembre, sono scesi a 34 la prima settimana di febbraio 2016. In sintesi, dunque, il virus zika può essere trasmesso da madre a feto, sembra provocare alterazioni cerebrali nel feto e conseguente microcefalia, la microcefalia è correlata a problemi di sviluppo psico-fisico (la cui gravità dipende caso per caso), la microcefalia può essere evidenziata, durante la gravidanza da un’ecografia (oppure da un’ecoencefalografia, una tecnica piuttosto sofisticata che si fa per via transvaginale e che è appannaggio di centri specializzati) , ma quando la gravidanza è piuttosto avanzata.
Test diagnostici
A questo punto i problemi sono due. Il primo: avere test affidabili da utilizzare per individuare se una donna in gravidanza, che mostra i sintomi tipici di un’infezione da zika (paragonabili a quelli di un’influenza) è davvero affetta dall’infezione. Secondo: capire se il feto è portatore di microcefalia. Attualmente i test si basano sulla ricerca del materiale genetico del virus nei tessuti o nel sangue della madre, ma sono complessi. Occorrono test più rapidi: ricercatori brasiliani dell’Università di Campinas, dell’Università di San Paolo e della San Paolo State University ne stanno sperimentando uno che potrebbe dare risultati in cinque ore invece che in 5-8 giorni. Per ora però questo test serve per la ricerca e non è ancora applicabile nella clinica.
Ecografie
Rimane allora l’ecografia per capire se una donna in gravidanza, che ha manifestato i sintomi di zika, corre il rischio di dare alla luce un figlio microcefalico. Le classiche ecografie possono non essere in grado di rilevare la presenza di una microcefalia nei primi mesi di gravidanza, lo possono fare solo in fase avanzata. Sono più precise, appunto le ecoencefalografie per via transvaginale, ma è molto difficile che questi esami siano accessibili a donne che vivono nelle zone povere del Nord Est del Brasile, appunto le aree oggi più colpite. E allora che cosa può succedere in certi Paesi colpiti dal virus o nelle loro aree più svantaggiate? E che cosa arriva ci dovremmo aspettare noi in Europa?
Posticipare le gravidanze o abortire?
Alcuni Paesi, nel dubbio che lo zika possa comportare malformazioni al feto, hanno suggerito di ritardare le gravidanze: il primo è stato El Salvador, seguito anche dal Brasile. Ma ci sono oggi donne, in Brasile e in altri Paesi del sud e centro America (dove le leggi sull’aborto sono molto restrittive), spesso in condizioni di povertà, che si possono trovare di fronte al fatto di essere incinte e di essere state infettate dal virus. L’Oms e l’Onu (l’Organizzazione delle Nazioni Unite) consigliano di ricorrere all’aborto, in strutture sicure e invitano i Paesi a rivedere le leggi sull’interruzione di gravidanza, ma il Governo brasiliano ha ribadito il “no” all’aborto (che è permesso in questo Paese solo in casi estremi come un grave pericolo di vita per la madre o in caso di stupro).
Dibattito etico
A questo proposito è interessante segnalare quello che ha scritto Debora Diniz, bioeticista e professore di legge all’Università di Brasilia sull’International New York Times di qualche giorno fa. Intanto l’epidemia di zika sta colpendo la popolazione delle Regioni più povere, dove la zanzara è di casa e la bonifica è difficile, e soprattutto le donne di colore. Queste ultime non hanno facile accesso alla contraccezione e, ovviamente, nemmeno all’aborto. Però lo fanno clandestinamente da sempre, non solo per zika: nel 2010 una donna su cinque (soprattutto le più povere), all’età di quarant’anni ha avuto almeno un aborto, illegale e in condizioni sanitarie precarie. Che alternative avranno ora le donne di fronte a zika? Il tema è in discussione.
L’arrivo potenziale in Europa
Per ora i casi in Europa sono di importazione. E quello della volontaria slovena ha posto il problema della gestione di una gravidanza in una persona affetta da zika nei Paesi Europei. Non solo, il virus zika potrebbe anche diffondersi da noi (sempre che, come abbiamo detto, si adatti a essere trasportato dalle zanzare che esistono dalle nostre parti, tipo la tigre). Se la malattia dovesse diventare endemica, le strutture sanitarie dovrebbero attrezzarsi per diagnosticare anche questa nuova infezione. Del resto, anche da noi esiste la possibilità che una donna in gravidanza si infetti con alcuni microrganismi come il virus della rosolia (anche se esiste il vaccino) o con il citomegalovirus o il parassita della toxoplasmosi (trasmesso dai gatti). Si potrebbe aggiungere zika. E quando si sospettano eventi del genere si può ricorrere a indagini come la ecoencefalografia fetale transvaginale (associate alla risonanza magnetica) che possono verificare gli eventuali danni sul feto. Sono esami ultra-specialistici che a Milano per esempio, si eseguono al Niguarda oppure all’Ospedale Buzzi. Ci si sta attrezzando.
Una rassicurazione alle atlete olimpiche
Le cronache ci informano che la tuffatrice azzurra Tania Cagnotto ha espresso le sue preoccupazioni per le prossime Olimpiadi e teme per un’eventuale sua gravidanza. Lo stesso ha fatto Hope Solo, portiere della Nazionale femminile di calcio Usa che da detto: «Rinuncerei a Rio per un figlio». Ecco, non ci dovrebbero essere problemi a patto di non rimanere incinte proprio nel periodo che va da adesso alle prossime Olimpiadi di questa estate. Ma nell’eventualità che ci si infetti con il virus e si guarisce non ci sono problemi per il futuro. E’ come se ci si dovesse ammalare di un’influenza stagionale e poi decidere di aver un figlio.
12 febbraio 2016 (corriere.it)