Ne mancano 1200: un progetto Padrin-Bond che aumenta le matricole ammesse tutela sul piano legale gli specializzandi e trattiene due anni nel Veneto i borsisti
In Veneto i medici scarseggiano sempre più. Negli ospedali ne mancano oltre mille, tanto da indurre Domenico Mantoan – il segretario della sanità regionale – a proporre il rientro dalla pensione (anche part time) ai camici bianchi under 65 e ad ipotizzare un reclutamento sistematico di professionisti dall’estero.
«E’ urgente rivedere il numero chiuso nella nostre facoltà di medicina, dobbiamo, apriremo un tavolo di confronto con tutti i soggetti del settore, dall’Ordine alle Università, alla Regione», annunciano Dario Bond e Leonardo Padrin. Il capogruppo del Pdl all’assemblea del Veneto e il presidente della Commissione sanità prevedono un futuro critico in assenza di correttivi: «Il saldo negativo attuale, di quasi 1200 medici, è destinato ad aumentare del 5 % ogni anno se non si interverrà in maniera strutturale sulle scuole di formazione. Rischiamo seriamente di ritrovarci senza professionisti o di importarli da altri Paesi, magari sprovvisti degli standard qualitativi dei nostri laureati». Ma il numero chiuso non è l’unica causa di questo crollo verticale: «Oggi la professione è percepita come difficile e ad alto tasso di rischio», osserva Padrin «pensiamo solo alla facilità con cui un medico può essere indagato per omicidio colposo e reati contro la persona». Per questo, il progetto pidiellino – si compone di due mosse: rimettere in discussione i criteri di accesso alle facoltà mediche di Padova e Verona; e introdurre clausole di salvaguardia per i giovani medici che compiono il percorso di specializzazione in Veneto.
Obiezione: “ammorbidire” i criteri di ammissione alle scuole di specialità non equivale a ridurre la media qualitativa? «No, il numero chiuso è in realtà un grosso ostacolo e spesso, gli attuali meccanismi dei test non garantiscono la vera meritocrazia», ribatte Bond «dati alla mano, ogni anno le facoltà di Padova e Verona aprono le loro porte a circa 600 studenti su 7400 iscritti in tutta Italia ma da questa cifra bisogna sottrarre il fenomeno della dispersione, che incide fino al 20 per cento». Un altro scoglio riguarda gli studenti specializzandi che hanno ottenuto una borsa di studio dalla Regione del Veneto e che, una volta terminato il ciclo di formazione, tornano nelle zone d’origine: «Ogni anno investiamo su di loro milioni di euro, risorse che in parte vanno perse», commenta Padrin. Che qualche mese fa ha presentato in Commissione una proposta di legge che obbliga i medici, italiani e stranieri, che hanno ricevuto una borsa di studio dal Veneto, a rimanere a lavorare negli ospedali del la nostra regione per almeno due anni dopo la specializzazione.
L’iniziativa veneta non è isolata. L’altro pilastro della sanità italiana, la Lombardia, attraversa un’analoga emergenza, tanto che il presidente della conferenza dei presidi di medicina e chirurgia, Eugenio Gaudio, ha proposto al ministero un incremento delle matricole ammesse pari al 20%. «Il punto dolente è la distribuzione geografica, basata su criteri scarsamente trasparenti», ha affermato il rettore del Bo, Giuseppe Zaccaria «basti pensare che i due atenei veneti interessati coprono appena il 5% dei posti disponibili in Italia. Un peso del tutto inadeguato, anche rispetto al valore demografico della regione».
Il Mattino di Padova – 7 gennaio 2012