Dai 30 punti di distacco del 2010 ai 2 di oggi: «Ce la giochiamo». Per mezzo secolo o giù di lì, il piccolo ma orgoglioso Cile ha giocato contro il grande Brasile e non ha visto palla.
Poi arriva un giorno in cui il Brasile è pieno di acciacchi mentre il Cile viaggia con il vento in poppa: finalmente può giocarsi la partita, sperando almeno di pareggiarla o, cosa inaudita, addirittura vincerla. Nella politica veneta le cose vanno più o meno così: il centrosinistra-Cile, che solo tre anni fa (elezioni regionali, vittoria di Lega e Pdl con Luca Zaia) prendeva 30 punti 30 di distacco dal centrodestra-Brasile, si trova nell’impensabile posizione di ambire a un confronto equilibrato. E lo dice apertamente. Sostiene Davide Zoggia, uomo forte di Bersani e capolista del Pd nella circoscrizione Veneto 1: «Al Senato (là dove la sfida è più serrata e decisiva, ndr) per noi non c’era partita, il Veneto non è mai stato contendibile al centrodestra. Questa volta i numeri ci dicono che ce la giochiamo, i candidati che abbiamo schierato ci possono consentire di rovesciare il risultato».
I numeri, naturalmente, sono quelli – aleatori ma indicativi – suggeriti dai sondaggi. Nell’atmosfera insolitamente carica della presentazione ufficiale dei candidati, nella sede regionale (che fu della Dc) a Padova, il numero che conta pian piano viene fuori: le due maggiori coalizioni sono separate soltanto da 2 punti percentuali, essendo entrambe assestate poco sopra il 30%. Due punti, in una rilevazione demoscopica, equivalgono alla parità: rientrano nel margine di errore statistico di tutti i sondaggi.
Spiega Laura Puppato, capolista per palazzo Madama: «Il sondaggio, dei primi giorni di gennaio (cioè fatto prima, per dovere di cronaca, del rinnovato accordo elettorale tra Lega e Pdl, ndr) ci assegna ottime chance di maggioranza al Senato. Lega e Pdl segnano un crollo, anche al di sotto del 10% in alcune aree della regione». Argomenta ancora Zoggia: «La lista Monti al Senato, qui in Veneto pesca molto di più nell’area centrista degli ex Pdl, con nomi come De Poli e Gava; Grillo, nella nostra regione, avrà un risultato buono ma non eclatante». Il fatto è che, per la prima volta, lo schema di partenza da bipolare (centrodestra-centrosinistra) si è trasformato in quadripartito: oltre ai contendenti tradizionali, sono in campo con l’aspettativa di un risultato importante anche i centristi di Monti (dati al 13,8 nazionale dall’ultimo sondaggio Swg-Agorà di ieri) e i 5 Stelle di Grillo (accreditati di un 15,9 dal medesimo sondaggio). Questo scenario frazionato abbassa e redistribuisce le percentuali: per vincere il Senato in Veneto, potrebbe essere sufficiente superare di qualche punto il 30%: un risultato sicuramente abbordabile per il centrosinistra, oltre che per l’accoppiata Lega-Pdl. «Perciò – chiosa sull’argomento Piero Ruzzante, consigliere regionale molto influente dei democrats – se ne deduce che l’unico voto utile in Veneto, per chi vuole spezzare l’egemonia pluridecennale del centrodestra, è il voto dato al Pd. Stavolta ce la giochiamo per davvero». E non è detto che qui da noi, dopo l’accordo Maroni-Berlusconi, le quotazioni del centrodestra salgano: anzi, per l’elettorato leghista, assai infastidito dall’ennesimo abbraccio con il Cavaliere, l’effetto potrebbe essere esattamente contrario.
Rosanna Filippin, segretario regionale del partito con un futuro garantito da parlamentare (è quarta in lista al Senato, che significa elezione sicura), la vede così: «Sì, pensiamo di poter vincere in un Veneto che ha visto il fallimento delle politiche del centrodestra. Ce la giochiamo fino in fondo e abbiamo una squadra all’altezza del compito. Lo dico – aggiunge Filippin – con una punta di orgoglio: presentiamo liste in cui tutti, e dico tutti i candidati, sono espressione del nostro territorio e con una forte presenza delle donne. Questo è un risultato che va rivendicato, siamo passati dalle promesse ai fatti».
Se il Veneto, insomma, è ancora una locomotiva per l’Italia – magari un tantino sfiancata dalla crisi economica, ma pur sempre trainante -, «noi abbiamo l’ambizione di guidarla, questa locomotiva – sintetizza Pier Paolo Baretta, capolista alla Camera in Veneto 2 – perché vogliamo sfatare questo luogo comune, per cui il Veneto sarebbe appaltato alla Lega e al centrodestra. Abbiamo la possibilità di dimostrare che non è sempre così».
In sala c’è una gran parte della squadra degli aspiranti parlamentari, pronti a tuffarsi nella campagna elettorale. Come si farebbe a scuola, la segretaria regionale Filippin discolpa alcuni assenti eccellenti: «Giustifico Giorgio Santini (candidato al Senato, ndr) che era impegnato con le ultime cose nel sindacato Cisl, e giustifico Alessandra Moretti (portavoce della campagna di Bersani alle primarie, candidata alla Camera, ndr) trattenuta a Roma dagli impegni nel partito». Di candidati mancanti ce n’erano anche altri, ma evidentemente non avevano mandato la giustificazione.
Non si è sottratto, invece, Marco Stradiotto, senatore uscente di Martellago con un decennio di parlamento nel curriculum, sebbene per lui non ci sia molto da celebrare: l’esito delle primarie lo ha relegato nei posti grigi della lista, quelli che non garantiscono una prenotazione sull’aereo per Roma. «Ho visto tempi migliori – ammette – ma sono qui e mi metto ai remi per contribuire alla causa». Onore all’impegno, qualcun altro al suo posto sarebbe rimasto a casa.
Alessandro Zuin – Corriere del Veneto – 12 gennaio 2013