Veneto. Taglia-ospedali: via i doppioni. Razionalizzazione in tutte le province
Coletto: «Deciderà l’aula dopo aver ascoltato il territorio». Parte il conteggio dei posti: attenta analisi anche del privato. Il Pssr sulla carta cancella quasi la metà degli ospedali
Il Piano socio sanitario va interpretato, proprio come i fondi di caffè nella tazzina di una maga. Dice tutto e dice nulla. Pareva un elenco di intenti e mano mano che si sfoglia lascia intravvedere accorpamenti di Asl e tagli d’ospedali. Una rivoluzione per una regione che per almeno 15 anni ha fatto della “rete sanitaria” un monolite inviolabile. E se il possibile accorpamento di Asl lanciato sul piatto della discussione aveva fatto saltare sulla sedia soprattutto gli amministratori delle aree più fragili (montagna e Polesine), la possibilità che lo sfalcio coinvolga anche i piccoli ospedali sta stuzzicando la politica. Il filo conduttore è che sotto i 400 posti letto la struttura non sia economica e sicura. Le ipotesi (la V. commissione del Consiglio le prenderà in esame il 2 febbraio) sono suggestive e neppure tanto peregrine, visto che in passato si era già fatta qualche incursione in tal senso. Quella che trova più credito, e sulla quale si aggiusteranno i cambiamenti, prevede 5 grandi ospedali (hub) posti a Verona Azienda, Vicenza, Padova, Treviso, Mestre. Gli altri ospedali o diventeranno di rete (senza alte specialità) o verranno riconvertiti in riabilitazioni, punti di primo intervento, poliambulatori e altro. Qualche esempio. Resterebbero ospedali di rete il civile di Venezia, Belluno, Rovigo, Feltre, Castelfranco, Montebelluna, Conegliano, l’ospedale unico di Este e Monselice, Thiene e Schio che verranno sostituiti con un unico ospedale, Bassano, Negrar e Peschiera, San Bonifacio e Legnago. Dovrebbero diventare “polo con due gambe”, quindi dividersi le competenze per evitare doppioni, Adria e Trecenta, Sandonà e Portogruaro, Chioggia e Piove di Sacco, Villafranca e Bussolengo, Dolo e Mirano, Cittadella e Camposampiero. Integrativi della rete o con altre funzioni Montecchio, Valdagno, Noventa, Arzignano, Borgo Roma, Isola della Scala, Zevio, Marzana, Caprino, Bovolone, Vittorio Veneto. Alcune di queste strutture, soprattutto quelle del Veronese sono già state riconvertite. Nel computo naturalmente entreranno anche i posti letto del privato.
L’assessore Luca Coletto è ben più che prudente e stigmatizza il processo: «Penso alla gente e al territorio. Che si debba risparmiare è vero, che ci debba razionalizzare l’esistente per renderlo più efficiente, anche. Ma non accetterò che i veneti siano costretti a viaggiare per accedere ai servizi. A decidere sarà l’aula dove le proposte verranno analizzate dopo aver tenuto conto degli apporti territoriali: non si possono lasciare zone sguarnite». E invoca l’umiltà: «I cittadini pagano le tasse, se prima si è speso in maniera poco appropriata, ora si deve necessariamente spendere meno, ma meglio». Insomma, chi pensa che basti a tavolino spostare questa o quella bandierina è avvisato. «C’è una evidenza ormai consolidata che le strutture troppo piccole siano dispendiose e pericolose – sottolinea il capogruppo di Verso Nord Diego Bottacin – Questo processo di razionalizzazione si porta dietro due tipi di resistenza: il diritto di ogni cittadino ad avere un punto di primo intervento a distanza ravvicinata e l’eccessivo impoverimento di alcuni territori. Ma ci sono tutti i margini per discutere». La stessa chiarezza che chiede Antonino Pipitone di Italia dei Valori. Raffaele Grazia, consigliere Udc, sostiene che è una cosa che «si deve obbligatoriamente fare, partendo dalle province che non hanno ancora cominciato a razionalizzare. Teniamo conto che ci sono province come Vicenza e Treviso che hanno già abbondantemente tagliato».
Gazzettino – 21 gennaio 2012
Ospedali, il Piano socio sanitario ne cancella metà
Tregua di una settimana per la V Commissione prima di dare il via alla ristrutturazione delle rete. Previsti 30 nosocomi, ora sono 56. Padrin: « Dobbiamo coniugare diritti con risorse a disposizione»
L’appuntamento è per il 2 febbraio a palazzo Ferro Fini, con una grande piantina del Veneto zeppa di bandierine, quelle che segnano i 56 ospedali, e le 30 strutture private accreditate. Come un plastico di guerre e che si scateni la battaglia. Per il Veneto si tratta infatti di una scelta epocale: la consegna data ai componenti della V. Commissione del Consiglio regionale del Veneto è quella di “ridurre” la rete ospedaliera, la più imponente cura dimagrante (che gli addetti ai lavori preferiscono chiamare riconversione) della storia sanitaria della regione. Sono 30 gli ospedali che il nuovo Piano socio sanitario prevede, tra i 5 hub (strutture di altissimo livello che andranno nei capoluoghi) e i 25 ospedali di territorio con bacino 200mila abitanti, 26 in meno, quasi la metà. Una o due sedute al massimo e la mappa della “sanità che verrà” deve prendere forma, la parola d’ordine è infatti fare presto. La settimana prossima per la V. commissione del Consiglio regionale sarà di tregua, la parola passa infatti ai diversi gruppi che dovranno leggere le carte e ipotizzare la mappa.
Il presidente della V commissione Leonardo Padrin per motivare il processo, scomoda i diritti. «Abbiamo un bilancio stretto è dobbiamo coniugare il diritto di ogni cittadino ad avere lo stesso trattamento e di usufruire della stessa quantità di risorse finanziarie. – spiega Padrin – Noi dobbiamo garantire un buon livello ospedaliero, urgenza-emergenza e il territorio, il sociale e non autosuffufficienza. Posto che abbiamo questi doveri, metteremo in ordine l’esistente e decideremo come coniugarlo. É sbagliato elencare la lista della spesa del proprio territorio, dimenticandosi di quello che hanno i vicini». Un processo che preoccupa l’Idv che chiede lumi fin da ora. «Spiegateci, provincia per provincia, quale sarà il destino degli ospedali veneti – si chiede Antonino Pipitone, consigliere regionale di Italia dei Valori – Nel Piano socio sanitario ne sono previsti 30, metà di quelli esistenti. Vorremo sapere gli altri che fine fanno? Se applichiamo il Piano così come è dobbiamo chiudere almeno il 50 per cento degli ospedali esistenti». Una nuova mappa della sanità che anche il Pd chiede venga condivisa. «Il Piano deve diventare uno strumento per tracciare il profilo veneto dei luoghi di massima affidabilità dove prestare gli interventi che possono salvare le vite ai pazienti – sottolinea il vice presidente della V. commissione Claudio Sinigaglia – In questo senso il Piano deve anche farsi carico di potenziare le reti di emergenza nelle aree più sensibili e delicate, con progetti specifici per le zone di montagna e a bassa densità abitativa». Una mappatura che per Pietrangelo Pettenò, consigliere della Federazione sinistra veneta ritiene indispensabile per decidere come procedere.
Gazzettino – 20 gennaio 2012