Cosa potrebbe succedere in Europa dopo la nuova ondata Covid in Cina? Quanto è alto il rischio di importare varianti più pericolose di Omicron? E le uniche minacce arrivano da Pechino o anche da Europa e Stati Uniti? Fanpage.it l’ha chiesto al professor Alessandro Vespignani, tra i massimi esperti mondiali di modelli epidemiologici e scienza delle previsioni.
Quello che sta accadendo in Cina in queste settimane non è una sorpresa. La comunità scientifica, infatti, aveva previsto che Omicron avrebbe imposto a Pechino un cambio di strategia, e che di conseguenza l’abbandono di Covid Zero avrebbe avuto effetti disastrosi in termini di infezioni, ospedalizzazioni e soprattutto morti.
Le previsioni degli esperti si stanno purtroppo avverando: nella migliore delle ipotesi nel 2023 la Cina potrebbe far registrare 500mila decessi, ma nello scenario peggiore i morti saranno un milione e mezzo. Tutto dipenderà delle misure che le autorità sanitarie riusciranno a mettere in campo per cercare di arginare i contagi.
Ma quali potrebbero essere gli effetti sull’Europa? Quanto è alto il rischio di importare varianti più pericolose di Omicron? E soprattutto: le uniche minacce arrivano da Pechino, o anche da Europa e Stati Uniti? Fanpage.it l’ha chiesto al professor Alessandro Vespignani, 57 anni, tra i massimi esperti mondiali di modelli epidemiologici e scienza delle previsioni.
Innanzitutto: qual è la situazione in Cina in queste settimane? Quali sono le informazioni in vostro possesso?
Purtroppo il quadro è piuttosto opaco. Da quando in Cina l’epidemia è dilagata i dati comunicati alla comunità scientifica non sono mai stati davvero rappresentativi della situazione reale. Quello che è importante sottolineare, tuttavia, è che quello che sta accadendo non è una sorpresa: mesi fa sono stati pubblicati lavori scientifici di grande pregio che spiegavano molto bene cosa sarebbe potuto succedere se Pechino avesse abbandonato la strategia Covid Zero. Tutti quei lavori convergevano su un fatto: che ci sarebbe stata un’enorme ondata di infezioni, ospedalizzazioni e decessi, soprattutto nella fascia più fragile della popolazione.
Un articolo di Nature di 20 giorni fa prospettava una serie di possibili scenari per la Cina: il più grave parlava di un milione di morti, il più cauto circa la metà. I vostri modelli cosa dicono?
La forbice va da mezzo milione a un milione e mezzo di decessi in Cina nel 2023. Sono numeri importanti, ma ovviamente vanno parametrati a una popolazione sterminata, di quasi un miliardo e mezzo di persone. Se i morti si avvicineranno più al mezzo milione o al milione e mezzo dipenderà dalle misure di contenimento e mitigazione che il governo cinese deciderà di adottare soprattutto nelle grandi città. Non dimentichiamo che nei prossimi mesi in Cina ci si attendono centinaia di milioni di infezioni.
Insomma, nessuna sorpresa.
Noi scienziati sapevamo che l’ondata sarebbe arrivata perché, purtroppo, la Cina si è da tempo messa in un angolo. Ha adottato una politica Covid Zero molto scrupolosa, ma soprattutto si è dotata di una pessima exit strategy: ha puntato sul nazionalismo vaccinale, ha rifiutato i vaccini occidentali e condotto una campagna di immunizzazione sbagliata che ha lasciato senza adeguata protezione tantissimi soggetti fragili. Il risultato è che la percentuale di popolazione protetta grazie al vaccino o all’infezione da Sars-CoV-2 è molto bassa. Tutto ciò è avvenuto soprattutto per ragioni politiche, purtroppo.
Quale strategia dovrebbe adottare ora il governo cinese?
Al momento purtroppo non c’è molto da fare: si può rafforzare la campagna di vaccinazione e cercare di contenere le infezioni attraverso l’impiego delle mascherine. Si possono limitare i danni, ma una strategia efficace doveva essere adottata mesi fa. Ormai è tardi: la diffusione virale è talmente veloce che non c’è più tempo per proteggere tutta la popolazione vulnerabile, nonostante si stiano compiendo certamente degli sforzi in tal senso.
Veniamo a noi. Si dice spesso che c’è il rischio che dalla Cina arrivino nuove varianti. Quali sono i dati a vostra disposizione?
La Cina ha un programma di campionamento e sequenziamento e nelle ultime settimane ha condiviso dati rispetto alle sequenze osservate nella popolazione. Ne servirebbero molti di più, ma per ora non sono emerse nuove varianti. Al lavoro cinese si aggiunge quello fatto in Europa e negli Stati Uniti sui tamponi positivi che arrivano dalla Cina: anche da queste analisi per il momento non osserviamo la presenza di varianti o sotto-lignaggi che non siano già “schedate”. Per ora quindi non vediamo all’orizzonte un cambiamento di quadro epidemiologico. A dire il vero l’unica variante che ci sta dando un po’ di pensiero è la Xbb1.5 che si sta diffondendo molto velocemente negli Stati Uniti. Apparentemente è più evasiva e trasmissibile delle altre. Questo ci deve ricordare che non dobbiamo preoccuparci solo della Cina: in Europa e negli USA abbiamo decine di migliaia di infezioni giornaliere. Il virus circola liberamente ed ha infinite possibilità di mutare ovunque. La sorveglianza virologica è fondamentale dappertutto.
Quale strategia coordinata dovrebbero adottare l’Italia e l’Europa per proteggersi?
Quello che la comunità scientifica sta consigliando da tempo a tutti i governi, compreso quello italiano, è di tenere la guardia più alta possibile. Questo vuol dire avere risposte coordinate tra stati a livello europeo, rafforzare il sequenziamento delle varianti sul territorio nazionale, e ribadire l’importanza delle campagne di richiamo delle vaccinazioni per la popolazione fragile. Nessuno dovrebbe stupirsi di quanto sta avvenendo in Cina: come detto, era previsto da tempo. Ma in Europa il virus circola abbondantemente e ci sono decine di migliaia di contagi al giorno. L’idea di tenere nuove varianti “confinate” in Cina è, per così dire, abbastanza naif.
Insomma, la pandemia non è finita.
No. La pandemia è un fenomeno globale: problemi possono arrivare dalla Cina, ma anche agli Stati Uniti e da altri luoghi del pianeta. Bisogna continuare a monitorare la situazione e identificare prima possibile dei cambi di quadro epidemiologico. E bisogna continuare a pubblicare i dati, non cercare di nascondere la polvere sotto il tappeto. Ciò significa controllare e monitorare in maniera costante ed effettiva l’epidemia, dotandosi anche di piani adeguati per fronteggiare possibili recrudescenze. Insomma, mentre è giusto e comprensibile che i cittadini escano dall’emergenza pandemica i governi e le istituzioni sanitarie devono prepararsi a ogni scenario, comprese possibili accelerazioni dell’attività epidemica.
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