Aveva portato il suo cane, un esemplare femmina di pastore tedesco, a tosare. ma la titolare del negozio si era accorta che l’animale era molto sofferente e aveva avvisato le guardie zoofile dell’Enpa, Ente nazionale protezione animali, che avevano proceduto prima al controllo, poi al sequestro dell’animale e infine alla denuncia del proprietario.
Nel febbraio 2015 il tribunale di Vicenza aveva condannato il padrone a 2 mila euro di ammenda. E la pena è stata confermata anche dalla Cassazione, che ha respinto dell’uomo. E lo ha condannato a pagare le spese. L’imputato, difeso dall’aw. Ottorino Agati, era accusato di maltrattamento di animali e reclamava l’assoluzione. Secondo l’accusa, aveva tenuto in canen condizioni di grave sofferenza, «incompatibili con la sua natura», omettendo di prestarle le cure necessarie per le malattie da cui era afletta. Ad accorgersi della evidente infezione dell’animale (nella zona delle orecchie) era stata proprio la responsabile del negozio di Thiene, dove l’imputato aveva portato l’animale. «Aveva degli enormi accumuli di pus secco, secondo me vecchio di tempo, contenuto in grandi sacche pesanti che si erano forniate e penzolate sotto le orecchie – aveva spiegato -; era impossibile che il proprietario non le avesse viste. In 12 anni di lavoro non avevo mai visto un cane ridotto così male». Stando a quanto emerso, presentava anche delle escoriazioni e camminava male per un dolore ad una zampa. Era intervenuta l’Enpa con alcune delle sue guardie zoofile che, a quel punto, avevano proceduto al sequestro dell’animale, che era stato poi affidato ad un pensionato di Thiene che lo aveva tenuto in custodia. II pastore tedesco era stato visitato anche da un veterinario, che aveva confermato come il cane soffrisse di alcune patologie, e che andava subito curato. Nel frattempo era scattata la denuncia ed era stata avviata l’indagine che si era conclusa con l’emissione di un decreto penale di condanna a carico del proprietario per maltrattamenti. Ma questi aveva preferito opporsi e farsi giudicare da un giudice in tribunale. Dove era scattata la condanna. La terza sezione penale della Cassazione ha confermato le accuse, e a nulla è valso il tentativo dell’imputato di spiegare che il cane lo teneva suo fratello. «Siffatta condotta – scrivono i giudici supremi – non esclude la responsabilità del proprietario per l’omessa tempestiva prestazione delle cure di cui l’animale necessitava».
Tratto dal Giornale di Vicenza – 13 settembre 2016