Caos sui marchi ed è boom di imitazioni. Un calice di prosecco per iniziare. Poi un piatto di riso del Delta del Po con radicchio rosso di Treviso, montasio e una spolverata di grana padano. Una fetta di sopressa vicentina e a chiudere una bella coppetta di ciliegie di Marostica. Il tutto annaffiato da un bianco del Garda. Et voilà, ecco servita una cenetta veneta doc capace di muovere turisti e economia.
Dal Taleggio al miele delle Dolomiti, dal radicchio di Chioggia ai vini dei Colli euganei fino all’ultimo arrivato, l’asparago di Badoere, sono 87 i prodotti enogastronomici veneti certificati protagonisti di un business annuo da svariati miliardi di euro. Basti pensare che nel 2012 i 52 vini «certificati» hanno fruttato all’estero quasi un miliardo e mezzo di euro e l’agricoltura ha collocato duemila giovani negli ultimi tre anni. Ma non è tutto ora quello che luccica. Il Veneto agricolo fattura complessivamente oltre 5 miliardi annui ma alla crescita dei riconoscimenti non sembra corrispondere un altrettanto importante incremento del valore delle produzioni e la gran parte dei prodotti di qualità realizzano fatturati estremamente limitati e confinati al mercato locale. Il radicchio di Treviso, per fare un esempio. «Le “esportazioni” arrivano al massimo a Roma, Milano e Napoli – conferma Walter Feltrin della Coldiretti – ma il prezzo disincentiva (15 euro al chilo a fronte dei 4-5 sul territorio di produzione). C’è poi confusione nel consumatore che non distingue tra radicchio di Treviso e radicchio rosso comune». Se rispetto alla situazione nazionale il Veneto si è collocato al quarto posto per fatturato, per contro, tra i 20 principali prodotti riconosciuti (oggi in festa ad Arzerello di Piove di Sacco per il primo Festival delle Dop venete) a livello nazionale compaiono solo cinque specialità rappresentate quasi esclusivamente da formaggi (Grana padano, Asiago, Provolone Valpadana e Montasio). «La produzione di Asiago nel 2012 è stata di 2.650 tonnellate di stagionato e di 20.711 tonnellate di fresco per un valore di 108 milioni di euro» ribadiscono dal consorzio della specialità casearia vicentina.
«I problemi ci sono – spiega l’assessore regionale all’agricoltura Franco Manzato – i marchi locali non sono brand e i produttori sono disincentivati a investire perchè non riscontrano adeguati profitti. Basti pensare che solo il 5% dei consumatori sa cos’è un Dop o un Igp». Ma all’estero adorano i nostri vini e i nostri formaggi. «Assolutamente, l’enogastronomia è il terzo motivo di attrazione del turismo nella regione, senza contare che l’agroalimentare potrà salvarsi da questa crisi esportando i suoi prodotti. E la Regione ha già predisposto 950 milioni di euro per politiche di rilancio con un occhio di riguardo alla Cina e agli importatori stranieri».
La Coldiretti del Veneto punta poi il dito contro l’agripirateria. «Il Veneto si difende perchè vede minacciate le sue produzioni blasonate – tuona il presidente Giorgio Piazza – come l’Asiago che in California diventa “asiago cheese” oppure l’Amarone venduto come “Amaretto veneziano” anche quelle di nicchia come la polenta che in Montenegro è “palenta” oppure il Merlot che in Romania è sugli scaffali in versione “Camerlot”. Ricercati e quindi super imitati anche altri formaggi come il Piave o il MonteVeronese, senza dimenticare che il Prosecco che in Germania è Prisecco o Frizzante Italiano in Austria». Manzato ha stanziato un milione di euro per combattere le truffe sul nascere. «Prendiamo accordi con studi legali esteri per denunce mirate sul posto». A ribadire: giù le mani dal made in Veneto.
Valentina Dal Zilio – Corriere del Veneto – 9 maggio 2013