Troppo dipendenti dagli stranieri, soprattutto dai francesi: bisogna dimezzare le cifre attuali. È l’allerta che suona dall’Unità di crisi della zootecnìa veneta, istituita dalla Regione in estate per «individuare le azioni prioritarie» a sostegno degli allevamenti: mette attorno al tavolo tutti gli operatori del settore. Dopo due incontri, l’unità di crisi inizia a mettere a punto le questioni più urgenti. Troppo estero: l’idea del marchio. «Il tavolo della zootecnia ha evidenziato l’opportunità di ridurre la dipendenza dall’estero dell’acquisto dei ristalli impiegati negli allevamenti da carne veneti». Secondo i dati raccolti dallo staff dell’assessore regionale all’agricoltura Franco Manzato, arriva dalla Francia circa il 90% dei circa 545 mila vitelli svezzati che ogni anno vengono importati per essere poi allevati per l’ingrasso (appunto, il ristallo).
Il resto viene da Polonia, Romania, Austria e Irlanda. Non solo: neppure la gran parte della carne che viene poi ricavata dai nostri allevamenti viene consumata qui in Veneto. Se ne parte per altre regioni italiane o addirittura di nuovo per l’estero.
Insomma, c’è bisogno di inserire una massiccia dose di “obiettivo km zero” anche per la carne: animali del tutto nostrani, e carne consumata qui. «Il tavolo – scrive la Regione – ha ribadito la necessità di creare un vero e proprio sistema veneto della zootecnia, al fine di fare “massa critica” ed aggredire il mercato regionale, nazionale ed internazionale». L’obiettivo evidentemente non può certo essere quello di rivoluzionare del tutto questi enormi flussi di vitelli e di carne prodotta, ma l’Unità di crisi nel sollevare il problema si è data come traguardo da raggiungere il dimezzamento di questa dipendenza. Una delle azioni indicate dalla Regione agli operatori è la nuova norma appena votata dal Consiglio regionale, che mira a «sostenere l’associazionismo e far leva sulle produzioni di qualità regionale anche attraverso la promozione del marchio QV (qualità verificata) nei mercati».
PROCEDURE E CREDITO. La Regione ha promesso agli operatori anche di lavorare alla semplificazione delle procedure, soprattutto per quanto concerne la gestione dei nitrati e le aflatossine», anche se «la normativa in materia è molto ostica, ed implica l’impiego di numerosi passaggi che obbligano le imprese zootecniche a perdere tempo per adeguarsi alle regole». Ma il problema più forte sottolineato dagli allevatori (e non solo da loro) è l’accesso al credito. La Regione offre quattro strumenti. Il “credito d’esercizio” – 2500 euro per azienda l’anno, ma forse l’Ue consentirà di far salire il tetto – che è un contributo per pagare gli interessi sui prestiti ottenuti dalle banche per affrontare spese correnti come l’acquisto di mangimi, bestiame, mezzi. C’è poi il fondo di garanzia che consente di fornire alle imprese agricole – sempre per mutui o prestiti bancari – una fideiussione che permette un più facile accesso al credito e consente di contenere le commissioni richieste dalle banche: per il mondo agricolo c’è quello gestito da Ismea, col quale la Regione intende «promuovere una collaborazione operativa che preveda l’utilizzo di tale fondo a fronte di risorse regionali e comunitarie da destinarsi esclusivamente per le imprese agricole venete». Poi c’è il fondo di rotazione, a sostegno degli investimenti delle aziende agricole (e zootecniche) ed agroalimentari: lo gestisce la finanziaria Veneto Sviluppo e consiste in un prestito agevolato con abbattimento del tasso d’interesse pari al 50% del tasso applicato dalle banche. Infine la Regione sta valutando la nuova possibilità normativa di creare “fondi di mutualizzazione” che potrebbero «intervenire in caso di crisi di mercato, di caduta improvvisa dei prezzi dei prodotti, di crisi allarmistiche che fanno crollare i consumi» e forse anche per «ristoro di eventuali eventi calamitosi». Bisognerà trovare risorse nel Psr-piano di sviluppo regionale.
Il Giornale di Vicenza – 11 novembre 2013