di Federico Formica, National Geographic Italia. Distruggere gli alveari e uccidere le proprie api. Ciò che nessun apicoltore al mondo vorrebbe mai fare, sono stati costretti a farlo alcuni allevatori calabresi e siciliani. Per evitare un male peggiore: che dalle province di Reggio Calabria e Siracusa un pericoloso parassita – Aethina tumida – si diffonda in Europa mettendo a rischio gli alveari di tutto il continente.
Per certi versi la vicenda di Aethina Tumida ricorda quella di Xylella Fastidiosa, il microrganismo accusato di far disseccare tanti uliveti nel Salento, attualmente al centro di una complicata vicenda giudiziaria. Anche il piccolo scarabeo nemico delle api viene da lontano. E anche in questo caso l’Europa ha prescritto una terapia d’urto per evitare che si diffonda: distruzione degli apiari infetti ed embargo totale di api regine e colonie, che non potranno uscire dalle zone rosse almeno fino al 31 marzo 2017.
Alveari di frontiera. Fino al settembre 2014, infatti, il parassita non era mai arrivato in Europa. Il primo caso in assoluto si è verificato a due chilometri dal porto di Gioia Tauro. Due mesi più tardi un altro in provincia di Siracusa. Da allora Aethina Tumida è costantemente monitorata dal ministero della Salute attraverso un Centro di referenza nazionale gestito dall’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSV). Per nove mesi non sono stati trovati nuovi alveari infetti. Poi, a ottobre 2015, una recrudescenza.
Intorno all’epicentro dei due focolai sono state istituite altrettante zone rosse del raggio di 20 chilometri. Chi si trova all’interno del cerchio non può allevare api e deve bonificare il terreno. La buona notizia è che finora, come conferma il responsabile del Centro di referenza Franco Mutinelli, il parassita non si è mosso dalla zona rossa. Quella cattiva è che nessuno è ancora riuscito a capire né da dove sia arrivato né in che modo.
“Se la situazione rimarrà così – continua Mutinelli – non cambieremo strategia. Stiamo cercando di proteggere il resto d’Italia e d’Europa”.
Lo scroccone delle arnie. A quanto pare gli orsi non sono gli unici ad essere ghiotti di miele: anche il coleottero Aethina Tumida ne va pazzo. Così come è attratto dal polline e dai ferormoni rilasciati dalle api. Una volta entrato nell’alveare, si comporta come se fosse a casa sua: depone le uova nelle crepe dell’arnia e nei telaini. Non appena queste si schiudono, cominciano i guai. Per nutrirsi, infatti, le larve del coleottero divorano il miele e le larve delle api nel giro di due settimane, decimando l’arnia. Non solo, larve e scarafaggi adulti defecano sui favi, facendo fermentare il miele. Risultato: quel poco miele che resta diventa inutilizzabile.
007 al lavoro. Ministero e IZSV stanno contenendo i danni, ma il rischio contagio resta alto. In molti paesi del mondo come Australia, Stati Uniti e vaste aree del Nord Africa Aethina Tumida è ormai endemico e le autorità sanitarie hanno rinunciato da tempo a eradicarlo: semplicemente impossibile.
“Qualcuno ha importato api regine senza rispettare le procedure sanitarie” è l’ipotesi di Raffaele Cirone, presidente della Federazione apicoltori italiani (FAI). “Da qualche parte c’è una porta aperta: da lì è arrivato il coleottero. Fin quando non verrà chiusa, eradicarlo sarà molto difficile”.
È proprio quello che stanno cercando di capire i tecnici dell’IZSV. Il ritrovamento a due chilometri dal porto di Gioia Tauro fa pensare che il coleottero sia arrivato via nave, ma Mutinelli è cauto: “Al momento è solo un’ipotesi. Api e alveari possono raggiungere legalmente l’Italia solo attraverso gli scali di Malpensa e Fiumicino. E di sicuro da quei due aeroporti non è mai arrivata alcuna segnalazione”.
Un’ipotesi concreta è che qualcuno abbia importato illegalmente materiale apistico da un’area infestata. L’Australia o, più probabilmente, il Nordafrica. “L’Italia importa api principalmente da Cile e Argentina – continua Mutinelli -, due Paesi rimasti indenni dall’infestazione”. Non è consentito infatti importare api o materiale apistico da zone in cui la presenza di Aethina Tumida è stata accertata.
Da produttori a importatori. “Da quando abbiamo cominciato a importare api e sciami sono iniziati i problemi e Aethina Tumida è solo l’ultimo di una lunga serie. Fino a una ventina di anni fa allevavamo e vendevamo api regine anche all’estero. Ora non siamo più autosufficienti e abbiamo bisogno di acquistarle da fuori. L’età dell’oro è finita” lamenta Cirone della FAI.
Del resto, senza l’intervento dell’uomo Aethina Tumida non si sarebbe mai diffusa in quattro continenti. L’Efsa (l’autorità per la sicurezza alimentare europea) ha calcolato che, per spostarsi naturalmente dalla Calabria all’Abruzzo, al coleottero servirebbero 100 anni. A bordo di una nave, potrebbe aver varcato l’Oceano e il Mediterraneo nel giro di poche settimane.
Un danno economico. Gli allevatori colpiti dal parassita hanno dovuto immolare i propri alveari. Per questo sono stati indennizzati, ma dopo un’attesa di 15 mesi e in modo parziale. “L’indennizzo è stato riconosciuto per gli alveari distrutti ma non per la mancata produzione di miele. Siamo d’accordo con la strategia utilizzata finora – chiarisce Cirone -, dobbiamo fare di tutto per eradicare il parassita ed è necessario anteporre l’interesse comune a quello di pochi singoli produttori, ma non dimentichiamo che questi allevatori non possono neanche aprire una nuova attività, almeno non dentro alla zona rossa”.
Se l’infestazione si dovesse estendere ad altre regioni, il panorama si farebbe ancora più fosco. La quarantena, infatti, si allargherebbe ad altre parti d’Italia, con conseguenze molto gravi per un settore già in sofferenza. Ecco perché l’Italia e tutta Europa guardano con preoccupazione a quel fazzoletto di terra nel
www.nationalgeographic.it – 26 dicembre 2015