Il vecchio contratto a tempo indeterminato, articolo 18 compreso, non è morto. Chi ci riesce, potrà farsi assumere anche con le vecchie regole, al di fuori delle tutele crescenti e l’azienda godrà comunque degli sgravi fiscali fino a 8 mila euro, previsti dalla legge di Stabilità. Sulla carta è così, e a quella possibilità i sindacati tengono, perché dà valore alla loro capacità contrattuale.
Ecco perché la questione è stata messa nera su bianco dai quadri dirigenti della Cisl, che ieri hanno invitato nella loro sede Filippo Taddei per parlare del lavoro dopo il Jobs Act. Il responsabile economico del Pd ha ammesso che «sì», come stava scritto sul volantino distribuito in sala «il nuovo contratto a tutele crescenti non sostituisce, ma si aggiunge al normale contratto a tempo indeterminato». «Ma se trovate uno che riesce farsi assumere con le vecchie regole fatemelo conoscere — ha aggiunto — credo sia difficile che un’azienda accetti di mantenere quelle condizioni. Magari accorderà al lavoratore un risarcimento più consistente, ma non credo rinunci alle nuove norme sull’articolo 18». Taddei ha difeso «la centralità del lavoro stabile messa in atto dal Jobs Act» e ha fissato un obiettivo: con le nuove regole almeno la metà dei 600 mila parasubordinati dovranno passare al contratto a tutele crescenti. Trecento mila posti «emersi» dal precariato.
Ma alla Cisl sta soprattutto a cuore il fatto che il vecchio contratto non sia morto e che la contrattazione possa fare la differenza. Ecco perché Gigi Petteni, segretario confederale, ha raccontato il caso di un lavoratore licenziato nel bergamasco perché ingiustamente accusato di aver trafugato documenti e riassunto dall’azienda dopo uno sciopero messo in atto dai compagni di lavoro. Senza bisogno di ricorrere al giudice.
E’ una posizione che la Cisl vuol tenersi stretta: «Al di là delle norme resta la dignità, la solidarietà e la forza dei lavoratori», dice Petteni. «La contrattazione può giocare un ruolo anche introducendo una proporzionalità tra mancanza del lavoratore e sanzione». Posizione opposta alla Cgil che sul Jobs Act va giù dura e pensa a un referendum.
Certo le novità che il governo vuole introdurre anche sul salario minimo (7 euro l’ora per chi non è protetto da contrattazione collettiva) mettono a dura prova la difesa dell’autonomia. «I minimi fissati dal contratto nazionale sono decisamente migliori — commenta così la leader Cisl Annamaria Furlan — la strada è quella di ricondurre nell’ambito del lavoro subordinato il lavoro autonomo mascherato, non di introdurre un salario minimo, che rischia di offrire una sponda ai contratti pirata».
Repubblica – 12 marzo 2015