di Tobia De Stefano, Libero. Metti una pezza oggi, la rattoppi domani, ma prima o poi il buco viene a galla e rischia di diventare un cratere. È quello che potrebbe succedere al governo Renzi con l’ormai annosa questione della mancata rivalutazione delle pensioni. Soprattutto dopo che un’ordinanza del tribunale di Milano ha messo nero su bianco un principio: tutti i blocchi imposti dal 2011 in poi non rispettano l’eccezionalità del provvedimento. Insomma va bene il primo anno, passi il secondo, ma se la norma si reitera ininterrottamente allora c’è un problema. Tanto da accogliere il ricorso cumulativo (10 i pensionati coinvolti) presentato dai legali Celeste Collovati e Alessandro Milani e da rimandare la questione alla Corte Costituzionale. Morale della favola: se la Consulta (ma i tempi non saranno brevissimi) dovesse accogliere questa tesi, per il governo Renzi, o per chi prenderà il suo posto a Palazzo Chigi, si aprirebbe un buco di svariati miliardi di euro. Insomma, si arriverebbe al cratere di cui sopra.
Il blocco alle rivalutazioni, infatti, ha origine antiche e parte dal Salva-Italia di Monti del 2011 che stabilisce lo stop alla perequazione per due anni consecutivi per gli assegni che superano 3 volte il minimo (circa 1.405,05 euro lordi).
La spiegazione è: bisogna aggiustare i conti pubblici, ce lo chiede l’Europa. Sarà. Il fatto è che nell’aprile del 2015 la Consulta ha scoperchiato una pentola a pressione: il blocco della perequazione così com’è stato configurato viola l’articolo 36 (adeguata retribuzione) e 38 (adeguata pensione) della Costituzione. E di conseguenza il governo in carica dovrà rimborsare le mancate rivalutazioni del 2012 e del 2013. Un buco superiore ai 10 miliardi di euro.
Come si fa? Un bel problema, che Renzi ha provato a tamponare rimborsando parzialmente 3,7 milioni di persone, con una cifra che va da 280 a 750 euro lordi, e per nulla chi ha una pensione sopra i 3.200 euro lordi. Di più proprio non si poteva fare, ce lo imponeva la solita Europa. Ma purtroppo la partita non si è conclusa qui. Perché l’esecutivo ha esteso il blocco con delle riduzioni parziali superiori anche al 50% per ogni fascia di reddito interessata dal 2012 al 2016. Trasformando la misura una tantum in una vera e propria copertura della legge di stabilità. Il problema è che gli importi prelevati con tali misure non verranno successivamente reintrodotti nel sistema pensionistico, ma andranno ancora a coprire il deficit dei conti pubblici.
E qui torniamo ai giorni nostri e all’ordinanza del tribunale dei Milano ottenuta dai legali Collovati e Milani che a differenza di due pronunce simili (Palermo e Brescia) riguarda tutti gli anni del blocco (dal 2011 a oggi) e tutte le fasce di reddito dell’assegno: dai 1.405,05 euro (tre volte la pensione minima dell’Inps) in poi. Con un potenziale effetto dirompente per il governo Renzi e per i diktat che ci arrivano dall’Europa.
Libero – 4 maggio 2016