Le vecchie delibere delle Casse che hanno tagliato le pensioni attese, senza rispettare in modo rigido il principio del pro rata, non considerando, cioè, quanto maturato fino a quel momento, sono di nuovo a rischio. A non reggere, davanti alla Corte di cassazione sono, in particolare, le riforme della Cassa ragionieri, che hanno rivisto la quota retributiva della pensione, parametrandola sui redditi di tutta la vita lavorativa senza “patrimonializzare” il maturato sino a quel momento, con il calcolo sui redditi dei migliori 15 anni nell’arco negli ultimi 20. La “clausola di salvaguardia”, contenuta nella legge di Stabilità per il 2014 non rende infatti legittime le delibere passate, che non applicano in modo preciso il principio del pro rata, come stabilito dall’articolo 3, comma 12 della legge 335/1996.
La Cassazione – con la sentenza 17892/2014 – non riconosce come norma di interpretazione autentica quella della legge di Stabilità 2014 (legge 147/2013, articolo 1, comma 488), secondo cui il pro rata “temperato” – vale a dire usato come parametro tenuto semplicemente presente – è utilizzabile anche prima del 2007, quando il legislatore ha tentato, per la prima volta, di mettere al sicuro le decisioni restrittive delle Casse.
La Corte di cassazione richiama le considerazioni del giudice delle leggi sul limite del legislatore nell’emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica. Lo fa con un punto di arrivo opposto rispetto alla Corte di appello di Genova (sentenza del 5 febbraio 2014). «La norma – spiega la Cassazione – che deriva dalla legge di interpretazione autentica può dirsi costituzionalmente legittima innanzitutto qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis: sentenze 271 e 257 del 2011)».
Le condizioni indicate dalla Corte costituzionale non ricorrono nel caso specifico: la Cassazione spiega che viene riconosciuta legittimità ed efficacia con effetto retraottivo, a distanza di oltre 10 anni, «a delibere peggiorative di una sola categoria di assicurati, i pensionati, in contrasto con quanto affermato dal giudice delle leggi circa il rispetto generale del principio di ragionevolezza», che pure deve guidare i provvedimenti che introducono, in qualche forma, una disparità di trattamento. La norma della legge di Stabilità è innovativa in quanto la Cassazione, per consolidato orientamento, ha ritenuto che le delibere ante 2007 dovevano rispettare in modo rigido il pro rata, cristallizzando quanto maturato tempo per tempo dagli icritti. La norma della legge 296/2006, articolo 1, comma 763 sul pro rata mitigato «non vale a sanare le illegittimità dei provvedimenti adottati in violazione della precedente legge vigente al momento della loro emanazione». Il pro rata temperato della legge 296, rispetto al principio rigido della versione originaria delle legge 335, è giustificato dalla necessità di garantire gli equilibri di lungo periodo. Tuttavia la Cassazione ha detto più volte che «ciò non può che valere per il futuro», per le delibere adottate dal 1?gennaio 2007, mentre «si tratta di verificare la legittimità delle precedenti delibere» del 2002 e del 2003, per esempio.
Per questo la Cassazione ritiene innovativa (e non interpretativa) la norma della legge di Stabilità 2014, che non estrinseca una soluzione ermeneutica già contenuta nella legge del 2006. Né si può invocare un motivo imperativo d’interesse generale che giustificherebbe una disposizione con portata retroattiva: per questo, conclude la Cassazione, non si può che rigettare l’«ingerenza del potere legislativo».
Casse strette fra equità e sostenibilità
Disorientamento. Aumenta l’incertezza del quadro normativo mentre gli enti reclamano il rispetto dell’autonomia prevista dalla legge
Rispetto per la decisione dei giudici, ma perplessità davanti a un quadro normativo-giurisprudenziale sempre più complesso, che disorienta e rischia di vanificare gli sforzi fatti finora. All’indomani della sentenza con cui la Corte di cassazione ha bocciato la norma di interpretazione autentica inserita nella legge di Stabilità 2014 per “blindare” le riforme previdenziali fatte dalle Casse di previdenza privatizzate, questi enti si interrogano sugli effetti di tale decisione.
La Cassazione, in una causa che vedeva contrapposti la Cassa ragionieri e un suo iscritto, ha stabilito che la legge di Stabilità non salva le delibere ante 2007 con cui si è deciso di ricalcolare la quota retributiva della pensione in base ai redditi di tutta la vita lavorativa senza rispettare il principio del pro rata. Va rilevato che l’ente previdenziale, come altri hanno fatto successivamente, ha adottato provvedimenti di riforma per garantire la sostenibilità del sistema. Sullo sfondo c’è una situazione comune a tutto il sistema previdenziale, anche quello pubblico, in cui i meccanismi adottati in passato si sono dimostrati insostenibili ma le correzioni determinano un contrasto tra la necessità di far quadrare i conti e la richiesta di mantenere inalterate le regole preesistenti per i vecchi contributori.
Il tema oggetto della sentenza, osserva Andrea Camporese, presidente Adepp (l’Associazione che riunisce 19 enti previdenziali privatizzati) «è delicato e complesso e pone una questione prospettica di notevole rilievo perché si tratta di tenere insieme tre componenti: il patto dei diritti acquisiti; la necessità dell’equità intergenerazionale, ancor più rilevante a fronte di redditi bassi e discontinui; la sostenibilità prospettica dei sistemi. Noi vorremmo poter determinare i nostri sistemi tenendo presente tutti questi fattori con l’attenzione agli interessi di tutti. Sulla decisione della Corte non posso dire nulla, però il tema non scompare perché l’evoluzione dei sistemi previdenziali, che hanno virato verso il contributivo, e le modificazioni del mercato del lavoro pongono una domanda importante che non potremo evitare in futuro. Il tema riguarda il Paese e non solo le casse privatizzate».
La sentenza della Cassazione, inoltre, aggiunge incertezza a un quadro normativo già complesso e riaccende il dibattito sull’autonomia delle Casse, come sottolinea Renzo Guffanti, presidente della Cassa nazionale di previdenza e assistenza dottori commercialisti: «Nel nostro caso, da 13-14 anni abbiamo avviato delle attività di riforma che ci hanno portato a risultati sotto gli occhi di tutti, invertendo un trend che ci avrebbe visto in passivo di 30 miliardi nel 2041, mentre ora a quella data è previsto un attivo di 22 miliardi. Se rispettare le norme vuoi dire non fare niente e mantenere il trend che ci avrebbe visto andare in passivo in linea con la situazione di bancarotta in cui si dibatte l’intera nazione, invece di portare in attivo la situazione con sacrifici, rinunce e maggiori versamenti, ben venga l’abolizione di ogni riforma e il ritorno sotto la generosissima mano pubblica. Ma a quel punto a pagare dovrà essere il bilancio dello Stato e non tutti quegli iscritti che in questi anni si sono sacrificati per garantire l’equilibrio».
Il Sole 24 Ore – 13-14 agosto 2014