I diritti acquisiti non si toccano, le Casse private non possono imporre un contributo di solidarietà, che taglia le pensioni, con un atto amministrativo che non ha forza di legge. Così la Cassazione con le sentenze 26102/14 e 26229/14, depositata ieri. «C’è un cartello di soggetti premiatissimi, per i quali i diritti acquisiti non si toccano a nessun costo, ma il giorno in cui finiraranno i soldi finiranno i diritti acquisiti», commenta Renzo Guffanti, presidente della Cassa dottori commercialisti, che ha introdotto il contributo di solidarietà per il periodo 2008/2013. Per Guffanti il contributo di solidarietà, al di là del gettito, è un intervento volto a assicurare equità intergenerazionale: «coloro che prendono la pensione, magari da molti anni, devono in qualche modo contribuire rispetto a quanti, con il sistema contributivo, verseranno molti più contributi e avranno pensioni molto più basse», sottolinea il presidente di Cassa dottori.
Il contributo di solidarietà – afferma Guffanti – è stato disciplinato dopo le modifiche all’articolo 3, comma 12 della legge 335/1995, che consente alle Casse di adottare «tutti i provvedimenti necessari all’equilibrio del bilancio, tenuto conto anche del principio del pro rata. Quest’ultimo non vincola in maniera rigida le Casse , ma i criteri di equità tra le generazioni costituiscono un fondamento dell’azione degli enti privati. Il fine è quello di preservare l’equilibrio finanziario di lungo periodo».
Guffanti sottolinea poi come ci siano situazioni diverse: nei casi esaminati dalla Cassazione si tratta di pensioni in pagamento da molto tempo, anche dagli anni Novanta.
La Cassazione, con sentenze fotocopia per otto pensionati entro il 31 dicembre 2003 (prima dell’entrata in vigore della riforma del contributivo), ha stabilito che il diritti acquisiti non si toccano. Il principio del pro rata garantisce agli iscritti, in presenza di una riforma restrittiva sul calcolo delle prestazioni, la salvaguardia di quanto accumulato fino ad allora; a maggior ragione – secondo la Suprema corte – non possono essere ridotte («incise») le pensioni in essere. La Corte ribadisce quanto ha già affermato nel 2009 (sentenza 25029) e ancora prima nel 2005 (sentenza 11792). «Una volta maturato il diritto alla pensione d’anzianità, l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché ciò lederebbe l’affidamento del pensionato, tutelato dal capoverso dell’articolo 3 della Costituzione, nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo». L’unica strada – afferma la Corte nella sentenza 26229 di ieri è, eventualmente, una legge «la quale può disporre in senso sfavorevole anche quanto, maturato il diritto, siano in corso il pagamneto dei singoli ratei». In ogni caso, occorre non oltrepassare il limite della «ragionevolezza» e «l’affidamento dell’assicurato in una consistenza della pensione proporzionale ai contributi versati».
Per Anna Campilii, avvocato che ha patrocinato i pensionati contro la Cassa, è acclarato che «il contributo di solidarietà non rientra strutturalmente nella autonomia sublegislativa concessa alle Casse professionali, ma è una prestazione patrimoniale, come ha stabilito la Corte costituzionale, che può essere imposta solo con legge». L’ordinanza 22/03 ha ripreso la sentenza 178/00.
Il Sole 24 Ore – 13 dicembre 2014