Torna la riforma del catasto. Ricacciata nel cassetto a poche ore dal Consiglio dei ministri che doveva approvarla, il 23 giugno del 2015, spunta ora nel Piano nazionale di riforme, inviato a Bruxelles come ogni anno il 10 aprile assieme al Documento di economia e finanza, il Def. Il ripensamento di allora da parte del governo Renzi è il cruccio di oggi dell’esecutivo Gentiloni: la possibile stangata fiscale. Non solo perché passare dai vani ai metri quadri e adeguare gli immobili ai valori medi di mercato può comportare risparmi come pure salassi. Ma anche per l’impatto sul nuovo Isee, l’indice sintetico di reddito e patrimonio che consente di ottenere agevolazioni e sconti, dalle bollette all’asilo. E che è fortemente legato alla casa.
IMPATTI
Due anni fa, furono proprio i numeri pazzeschi dell’Agenzia delle entrate a indurre Palazzo Chigi alla desistenza. Le simulazioni raccontavano di rendite catastali lievitate nonostante lo sconto del 30% introdotto allora per attutire il ricalcolo con il nuovo algoritmo. E a patire erano le abitazioni economiche e popolari (A3 e A4), specie nei centri storici. A Napoli anche di sei volte. A Roma di quattro. A Venezia di cinque. Una giusta impennata per le magioni con affaccio su Colosseo o Canal Grande, ridicolmente fuori mercato grazie a un catasto vecchio di settant’anni. Meno in periferia. Laddove si balzava da 55 mila a 172 mila euro in media per una casa popolare, un terzo in più. E da 145 mila a 268 mila euro per un’abitazione civile, il 54% extra. Insomma, il criterio base delle nuove norme ovvero la cruciale “invarianza di gettito” – le tasse non aumentano in totale, ma si redistribuiscono: le città pagano più dei paesi, la periferia meno del centro – rischiava di naufragare. Motivo sufficiente per abbandonare una riforma fatta e finita. E per far scadere la delega fiscale (il 27 giugno 2015), di cui il catasto era un decreto attuativo.
OBIETTIVO EQUITÀ
E ora ci risiamo. L’inserimento nel menù delle riforme da spedire a Bruxelles è quasi obbligato. Non c’è anno, dalla famosa lettera della Bce dell’agosto 2011 all’ultimo Country Report di fine febbraio, che l’Europa non chieda all’Italia di riformare il catasto. «Progressi limitati», scrivevano un mese fa gli esperti Ue. Se ne è parlato anche al Lingotto, alla presentazione della mozione congressuale di Renzi. «È vero ci stiamo ragionando», conferma Filippo Taddei, consigliere economico dell’ex premier. «Nessun impatto sul gettito. Puntiamo a una maggiore equità: chi paga troppo perché ha una casa sopravvalutata risparmierà. Ma chi paga troppo poco e ha seconde e terze case o case di lusso dovrà contribuire di più». Ecco di nuovo il principio di invarianza. In gioco ci sono 50 miliardi, tanto quanto vale il fisco sul mattone, la metà di Imu e Tasi e il resto tra Tari, Irpef, Iva e imposte varie (catasto, trascrizione etc.). Un capitolo da maneggiare con estrema cura. Fatto sta che in questi due anni nulla è stato fatto. Le le commissioni censuarie, che pure furono create, mai riunite. Incaricate di rivedere gli estimi, il loro lavoro sarebbe durato almeno un quinquennio. Per le abitazioni basta infatti una valutazione automatica, adeguando i valori Omi già disponibili. Per gli immobili industriali e commerciali, oltre due milioni, no. Occorre una stima diretta, caso per caso.
RISCHIO STANGATA
Ma c’è anche un altro impatto da considerare,quello sull’Isee. La nuova versione dell’indicatore dà un peso maggiore al mattone: prima si moltiplicava il valore catastale per 105, ora il patrimonio entra per i due terzi moltiplicato per 168. Così, anche scalando il mutuo residuo fino a 50 mila euro lordi, l’Isee rischia di esplodere, come calcola l’ufficio studi della Uil-Servizio Politiche territoriali. Sia per le prime che per le seconde case, collocate in centro come in periferia, popolari o economiche (A2 o A3): dall’85% al 315% extra. La conseguenza è perdere i benefici legati all’Isee: borse di studio, mense, asili nido, buoni libro, tasse universitarie, case di riposo, assistenza domiciliare, sconti in bolletta e per gli abbonamenti di bus o treno a giovani e anziani. E da ultimo anche per ottenere il nuovo assegno di povertà (Ria). Senza poi pensare all’Imu dovuta dai proprietari di seconde e terze case che raddoppia (sulla prima è stata abolita nel 2016). Non penalizzare 35 milioni di abitazioni (e 5 milioni di altri immobili) e i loro 25 milioni di proprietari è dunque davvero una sfida. Epocale quanto la riforma del catasto
Repubblica – 30 marzo 2017