di Diego Degan. Disoccupato e senza alcuna prospettiva di trovare un lavoro, aveva cercato di “arrangiarsi” vendendo seppie, pescate in proprio, sulla riva del canale San Domenico. Ma è stato notato da qualche commerciante, a sua volta tartassato dalla crisi, che l’ha segnalato alla guardia di finanza.
Risultato: una sanzione di 300 euro e il sequestro degli attrezzi da pesca. E gli è andata bene perché non è stato colto in flagrante vendita, ma solo in possesso del pesce. Quindi gli è stato contestato solo l’eccesso di cattura rispetto ai cinque chili consentiti a chi pesca per diporto. L’episodio risale a mercoledì e segna un punto di svolta nella vita sociale cittadina. Vendere pesce sulle rive, infatti, fa parte della tradizione e del folklore di Chioggia, come di qualsiasi altra città di mare. Ci sono foto d’epoca che testimoniano l’esistenza, da secoli, di questa attività che può essere considerata un elemento di tipicità, attrattivo per i turisti e indicativo di una cultura popolare che non si fa seppellire dalla globalizzazione. Un piccolo commercio esercitato dai pescatori, ai quali è permesso dalla legge, ma anche da altri che, anche se non sono pescatori professionali (ma, a Chioggia, i rudimenti del mestiere li imparano tutti, sin da piccoli) sanno dove trovare il prodotto di stagione. E questa è la stagione delle seppie. Ma è anche la stagione della protesta. Nello stesso giorno in cui il giovane abusivo veniva sanzionato, infatti, i “veri” commercianti di pesce stavano manifestando in municipio per sollecitare l’attenzione del Comune ai loro problemi. «Non conosco l’episodio», dice Massimo Doria, presidente del Consorzio della pescheria al minuto, «anche se ne ho sentito parlare. Non so chi abbia segnalato l’abusivo alla Finanza. Non credo sia stato uno di noi, ma capisco che quel giorno, in cui i nostri banchi erano chiusi per protesta, la presenza di un abusivo possa aver dato fastidio». Insomma, avrebbe potuto scegliersi un altro giorno. Forse, però, preso dal problema di sbarcare il lunario, l’abusivo non sapeva neppure della protesta dei pescivendoli. Del resto sembra essere la prima volta che succede una cosa simile: i commercianti, normalmente, hanno tolleranza per questa “concorrenza sleale” e le stesse forze dell’ordine non calcano troppo la mano, consapevoli delle difficoltà del momento. Ma non possono ignorare una segnalazione e anche per i commercianti la situazione è difficile. «Stiamo anche cercando di razionalizzare il regolamento del mercato all’ingrosso», spiega ancora Doria, «lì, infatti, una volta battute le aste, il pesce invenduto può essere acquistato dai privati. Il guaio è che non c’è un limite di quantità. Questo significa che anche un grossista può andar lì e, fuori asta, comprare quintali di prodotto. Noi chiediamo che si rispetti lo spirito della norma, ovvero che il pesce invenduto alle aste possa essere acquistato per consumo familiare: cinque, dieci chili al massimo. Altrimenti», conclude Doria, «diventa un altro circuito commerciale.
La Nuova Venezia – 16 marzo 2013