Sussiste la responsabilità del direttore generale e amministrativo dell’Asl, al pari di quella del direttore generale per le risorse umane regionali, nel caso in cui avallino l’inerzia politica determinando la crescita esponenziale del costo delle prestazioni di lavoro aggiuntivo. Responsabilità che non può essere esclusa solo per il fatto che le deroghe all’assunzione di personale a tempo determinato, molto meno costoso, avrebbero dovuto essere autorizzate dalla Regione che ignorò le loro richieste, per ben tre anni. Questa l’opinione espressa dalla Corte dei conti del Lazio, nella sentenza n. 33 del 14 gennaio, che fornisce un vero e proprio decalogo per il calcolo dei danni «da inerzia organizzativa». L’inerzia dei dirigenti, prorogata nel tempo, avrebbe prodotto un cospicuo incremento dei costi avendo «volutamente e colpevolmente», evitato o ritardato ogni azione programmatori a finalizzata alla riduzione dei costi seppure in presenza di una obiettiva carenza di personale prevalentemente medico.
L’automatico ricorso all’acquisto di prestazioni aggiuntive, trasformandole in normale strumento per superare ogni esigenza di soddisfazione della domanda sanitaria, avveniva anche in violazione di chiare disposizioni normative (comunitarie, nazionali e contrattuali) in ordine alla durata media dell’orario di lavoro e al conseguente recupero psicofisico del dipendente. Si è assistito, afferma la sentenza, a una completa inerzia operativa e a una contrapposta cospicua e infruttuosa corrispondenza fra la Asl e la Regione Lazio (oltre a quella interna fra i vertici dell’azienda) alla quale i convenuti vorrebbero attribuire valenza di esimente di responsabilità alla luce dei vincoli che il Piano di rientro dal disavanzo imponeva. In questa corsa alla corrispondenza “riparatrice” si sarebbe distinto «per la sua inerzia per ben tre anni» anche il responsabile dell’Ufficio Area Risorse umane della Regione che preferì avallare il lavoro straordinario piuttosto che fornire e/o cercare soluzioni meno onerose come l’attivazione di contratti a termine per la sostituzione almeno delle unità in aspettativa a qualsiasi titolo (maternità, congedi parentali ecc.) allo scopo di assicurare i livelli essenziali di assistenza nonostante le, pur avvenute, sollecitazioni dei direttori generali e del Commissario straordinario dell’azienda sanitaria locale.
Paola Ferrari – Il Sole 24 Ore sanità – 27 gennaio 2015