di Manuela Perrone. Se i lavori di ristrutturazione di un ospedale sono mal fatti e i vertici della Asl restano sordi alle segnalazioni di disservizi il direttore generale, il direttore amministrativo e il responsabile dell’area tecnico patrimoniale devono risarcire i danni all’Erario legati alla necessità di ripetuti interventi “riparatori”.
La terza sezione centrale d’appello della Corte dei conti (sentenza n. 648/2013, depositata l’8 ottobre) ha confermato la responsabilità erariale di tre manager di un ospedale romano, accogliendo però parzialmente i loro ricorsi e riquantificando al ribasso le somme che erano stati condannati a pagare dalla Sezione giurisdizionale per il Lazio.
La vicenda
Nel 1998, in vista del Giubileo del 2000, vengono appaltati lavori di riammodernamento di un ospedale romano nei pressi del Vaticano, tra i quali rientra la realizzazione di un blocco operatorio al quarto piano. Già a partire dal 2000, però, cominciano le segnalazioni e le denunce di carenze strutturali e malfunzionamento delle nuove sale operatorie. Interventi di restauro si rendono necessari nel 2003 e poi ancora nel dicembre 2004, dopo che ad aprile il primario rilascia un’intervista a un quotidiano nazionale e i vertici dell’ospedale commissionano un’indagine all’area tecnica dell’azienda. Ma i problemi continuano e a giugno 2006 bisogna intervenire di nuovo per infiltrazioni d’acqua.
Il primo giudizio
Nel 2010 la Sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti condanna il direttore generale, il direttore amministrativo e l’architetto responsabile dell’area tecnica, insieme agli altri componenti della commissione di collaudo, a risarcire all’Erario 229.260,47 euro (183.770 euro sostenuti per i primi interventi migliorativi e altri 45.489,62 per quelli contro le infiltrazioni d’acqua nel 2006). Per i due direttori si ravvisa in particolare «una condotta gravemente colposa per non aver assunto, pur risultando destinatari di varie missive che denunciavano gli inconvenienti alle sale operatorie, le dovute iniziative ai fini dell’azionabilità tempestiva dei numerosi difetti occulti via via emergenti e di quelli immediatamente riscontrati e direttamente imputabili, secondo il Codice civile, al direttore dei lavori». Condotta analoga viene addebitata all’architetto, che per inerzia ha omesso di denunciare subito la situazione ai vertici dell’Asl.
Il verdetto d’appello
Tutti propongono appello ma la Corte dei conti sostanzialmente conferma le responsabilità. La premessa è una: l’esistenza di difformità e vizi nelle opere del 1998-1999 «è stata pienamente acclarata» e a causa di quei vizi si sono resi necessari interventi ripetuti e costosi. L’inerzia dei vertici dell’ospedale è ugualmente dimostrata. Da gennaio 2001, quando entra in servizio, a giugno 2004 il responsabile dell’area tecnico patrimoniale della Asl non fa nulla: non indaga, non informa gli organi di vertice, non fa valere nei confronti della ditta titolare dell’appalto «le giuste e fondate pretese all’esecuzione dei lavori a regola d’arte». Mostrando «scarsa diligenza, superficialità e trascuratezza». Colpevolmente inerti anche i due direttori dell’ospedale, che non possono trincerarsi dietro lo scudo del “non sapevamo”. Avrebbero quanto meno dovuto disporre accertamenti quando, a nemmeno un anno dall’approvazione del collaudo, erano stati chiesti nuovi lavori.
Il collegio rivede gli importi
Direttore generale e amministrativo non devono rispondere dei danni erariali relativi ai lavori contro le infiltrazioni d’acqua perché quando il vizio si è concretamente manifestato, nel 2006, erano già decaduti dalla carica. Quanto al resto della somma, va tenuto presente che i difetti di progettazione sono riferibili a un periodo in cui nessuno dei tre manager aveva assunto le sue funzioni: l’importo va quindi rideterminato. I due direttori devono pagare 18.377 euro ciascuno. L’architetto 24.875.
Il Sole 24 Ore sanità – 30 ottobre 2013