Il maltrattamento di animali può essere commesso anche solo esponendoli ad un pericolo. Basta il dolo indiretto per rispondere del delitto di cui all’art.544 ter c.p. quando, senza necessità, si provocano lesioni.
La fattispecie di reato di “maltrattamento di animali” prevista e punita dall’art. 544ter del codice penale, configura un reato a “dolo specifico” nel caso in cui la condotta lesiva della integrità e della vita dell’animale è tenuta per “crudeltà”, mentre configura un reato a “dolo indiretto” quando la condotta è tenuta “senza necessità”.
E’ questo il principio di diritto sancito dalla Suprema Corte nella sentenza in commento. Il delitto di cui discutiamo punisce “chiunque per crudeltà o senza necessità , cagiona una lesione ad un animale….”. Nel caso specifico, con sentenza n. 17012/2015, la Corte di Cassazione, ha affermato che integra il reato di maltrattamento di animali la condotta dell’agente che, esercitando in modo abusivo la caccia ed installando, in particolare, trappole illegali, provochi lesioni ad un animale.
In pratica, si è in presenza di un dolo specifico quando il soggetto agente pone in essere la condotta con la precisa volontà che da essa scaturisca proprio un determinato evento (lancio la freccia affinché si conficchi nel bersaglio prescelto).
Si avrà dolo indiretto quando l’agente pone in essere una condotta avendo piena coscienza che da essa potranno prodursi, con significativa probabilità, eventi dannosi che pur non costituendo la vera ragione della condotta stessa, sono accettati come possibilità senza che questa eventualità lo induca a desistere.
Ma la ragione di interesse della sentenza in commento è da rinvenire proprio nel chiarimento della distinzione operata dalla Suprema Corte tra maltrattamenti per “crudeltà” e maltrattamenti posti in essere “senza necessità”, pur dovendo aver presente che “il bene della vita”, che l’ordinamento intende tutelare, è sempre lo stesso : il sentimento per gli animali.
Con un esempio, non di scuola ma pratico, se un soggetto lascia incustodito e dunque abbandona, sia pure temporaneamente, il proprio cane, poniamo di piccola taglia, tenendolo legato ad un albero di un parco pubblico frequentato da altri cani, anche randagi, di grossa taglia ed aggressivi, potrà essere ritenuto responsabile del delitto di “maltrattamento” laddove il proprio cane sia assalito e ferito.
Alla luce del principio enunciato dalla Corte di Cassazione tutti noi siamo chiamati ad una maggiore attenzione nei confronti degli animali.
Luigi Marcelli – Il Quotidiano della Pa – 14 giugno 2015