Crimini agroalimentari, affari per 16 miliardi. Agromafie: il Veneto si salva ma Venezia è tra le province più vulnerabili
Sono più redditizie e meno rischiose del traffico di droga. Le agromafie, con un fatturato di 16 miliardi, continuano a macinare utili e ad allargare il campo d’azione. Dai reati tradizionali a forme sempre più sofisticate, il giro d’affari supera i 70 miliardi se si tiene conto anche dell’agropirateria, furto di identità dei prodotti italiani. È una fotografia impietosa quella scattata dal 4° rapporto Agromafie realizzato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare, illustrato ieri a Roma alla presenza dei ministri della Giustizia, Andrea Orlando, e delle Politiche agricole, Maurizio Martina e del gotha della magistratura e delle forze dell’ordine,dal procuratore Cantone al comandante dei Carabinieri Del Sette al capo della Polizia Pansa. Ma se la malavita allunga sempre di più le mani sulla filiera agroalimentare, accelera anche la macchina dei controlli. Mentre si serrano le fila sulle nuove normative.
Martina e Orlando hanno garantito che sarà accelerato l’iter di due disegni legge, uno sui reati agroalimentari, su cui il 17 marzo ci sarà una consultazione con le parti sociali, e l’altro per la lotta al caporalato, incardinato in questi giorni al Senato.
Sui controlli (100mila l’anno) l’Italia, ha spiegato Martina, è leader non solo in Europa, ma nel mondo, con azioni forti anche sul web. Solo sul fronte degli aiuti europei sono stati «intercettati» 15 milioni di fondi percepiti illegalmente. La vera sfida resta quella della trasparenza con un ’etichetta «parlante» in grado di raccontare – come ha spiegato il presidente dell’Osservatorio Giancarlo Caselli – la storia del prodotto. Una questione «antica» che è costata all’Italia anche minacce di procedure d’infrazione. Ma il vento è cambiato. Roberto Moncalvo, presidenteColdiretti, l’organizzazione agricola che sull’indicazione dell’origine ha impostato la sua strategia degli ultimi anni, ha ricordato la presa di posizione della Francia che all’ultimo Consiglio dei ministri agricoli ha chiesto l’etichettatura a livello Ue.
«Bisogna cogliere l’opportunità – ha detto Moncalvo – per arrivare a un percorso di trasparenza a 360 gradi per mettere nell’angolo l’illegalità». L’Italia oltre che per i controlli può diventare un modello anche per la valorizzazione della qualità e la tutela del consumatore. Martina ne è convinto, ma ritiene che occorra «produrre iniziative di carattere europeo, perchè se diventa solo una rivendicazione nazionale rischiamo di non farcela». L’obiettivo è stringere alleanze con la Francia, ma anche con i paesi del Nord storicamente poco inclini a giocare queste partite. Il ministro ha rilanciato anche la lotta al caporalato come tema centrale contro l’illegalità. (Annamaria Capparelli – Il Sole 24 Ore)
L’indice di organizzazione criminale salva il Veneto ma scopre Venezia tra le province più vulnerabili
L’intensità dell’associazionismo criminale è elevata nel Mezzogiorno, ma emerge con chiarezza come nel Centro dell’Italia il grado di penetrazione sia forte e stabile e particolarmente elevata in Abruzzo ed in Umbria, in alcune zone delle Marche, nel Grossetano e nel Lazio, in particolar modo a Latina e Frosinone. Anche al Nord il fenomeno presenta un grado di penetrazione importante in Piemonte, nell’Alto lombardo, nella provincia di Venezia e nelle province romagnole lungo la Via Emilia. Se dunque il Veneto non risulta tra le regioni sensibili è il capoluogo veneziano ad essere a rischio. E’ quanto emerge dell’Indice di Organizzazione Criminale (IOC) elaborato dall’Eurispes nell’ambito del quarto Rapporto Agromafie con Coldiretti e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare che si fonda su 29 indicatori specifici e rappresenta la diffusione e l’intensità, in una data provincia, del fenomeno dell’associazione criminale, in considerazione delle caratteristiche intrinseche alla provincia stessa e di conseguenza sia di eventi criminali denunciati sia di fattori economici e sociali. In regioni quali la Calabria e la Sicilia si denota un grado di controllo criminale del territorio pressoché totale, al pari della Campania (sia pur con minore intensità nell’entroterra avellinese e beneventano). Tale risultanza, purtroppo non particolarmente sorprendente, riflette la forza e l’estensione di organizzazioni quali la ‘Ndrangheta, la Mafia e la Camorra. Il grado di controllo e penetrazione territoriale della Sacra Corona Unita in Puglia, invece, pur mantenendosi significativamente elevato, risulta inferiore che altrove così come in Sardegna, regione dove all’elevata intensità dell’associazionismo criminale non corrisponde di pari grado l’egemonia di un’unica organizzazione. In Sicilia l’unica provincia non caratterizzata da un Indice IOC alto è stata Messina, mentre sul restante territorio i valori sono significativamente elevati, in particolar modo nelle zone meridionali ed orientali dell’Isola (Ragusa: 100,0; Caltanissetta: 69,4; Catania: 57,5; Siracusa: 49,2; Enna: 48,4). Anche il complesso delle province calabresi risulta profondamente soggetto all’associazionismo criminale, a partire da Reggio Calabria (99,4) fino alle restanti province (Vibo Valentia: 65,3; Crotone: 58,4; Catanzaro: 55,3; Cosenza: 47,3). Il grado di diffusione criminale in Campania è elevato sia nel capoluogo (Napoli: 78,9) che a Caserta (68,4) e Salerno (44,3), ma è inferiore nell’entroterra. Si denota una forte presenza di tipo associazionistico anche sul versante adriatico (Pescara: 71,4; Foggia: 67,4; Brindisi: 51,6), nel basso Lazio (Frosinone: 49,3; Latina: 43,3) e in Sardegna (Nuoro: 46,3; Sassari: 45,9). Infine, non devono sorprendere, in quanto fondamentalmente legati alle specifiche operazioni delle Forze di sicurezza nel territorio, i dati relativi a Perugia (55,9) e Imperia (54,3). Al di sopra della media nazionale, pari a 29,1, con un IOC medio-alto si collocano i territori che si trovano prevalentemente lungo la catena appenninica, sia in Meridione (Potenza: 42,9; Campobasso: 42,7; Avellino: 42,3; Benevento: 35,7) che in Italia centrale (Teramo: 31,5; L’Aquila: 31,2; Terni: 30,0) e lungo l’Appennino tosco-ligure (La Spezia: 38,7; Pistoia: 35,1). Elevata la numerosità delle province pugliesi: Barletta-Andria-Trani (40,9), Bari (40,9), Taranto (39,4) e Lecce (37,4). Sia pur con livelli inferiori alla media nazionale, è importante sottolineare come l’indicatore relativo alla provincia di Roma (26,7) possa essere considerato ad un livello medio-alto. Il livello medio-basso dell’IOC racchiude gran parte delle maggiori province del Centro e Nord Italia, quali Genova (23,4), Torino (18,8), Firenze (18,8), Milano (17,9), Bologna (15,2) e Brescia (14,9).
Province |
IOC |
Province |
IOC |
Province |
IOC |
Ragusa |
100,0 |
Pistoia |
35,1 |
Venezia |
15,6 |
Reggio Calabria |
99,4 |
Cagliari |
34,7 |
Bologna |
15,2 |
Napoli |
78,9 |
Ancona |
34,5 |
Brescia |
14,9 |
Pescara |
71,4 |
Gorizia |
32,7 |
Ravenna |
14,4 |
Caltanissetta |
69,4 |
Teramo |
31,5 |
Lucca |
14,3 |
Caserta |
68,4 |
L’Aquila |
31,2 |
Forlì-Cesena |
13,9 |
Foggia |
67,4 |
Terni |
30,0 |
Sondrio |
13,8 |
Vibo Valentia |
65,3 |
Viterbo |
29,1 |
Varese |
12,9 |
Crotone |
58,4 |
Italia |
29,1 |
Massa-Carrara |
12,5 |
Catania |
57,5 |
Trieste |
27,9 |
Siena |
12,1 |
Perugia |
55,9 |
Ascoli Piceno |
27,8 |
Verona |
11,5 |
Catanzaro |
55,3 |
Oristano |
27,1 |
Pavia |
11,1 |
Imperia |
54,3 |
Grosseto |
26,9 |
Padova |
11,0 |
Brindisi |
51,6 |
Alessandria |
26,9 |
Reggio nell’Emilia |
10,4 |
Frosinone |
49,3 |
Roma |
26,7 |
Cremona |
10,3 |
Siracusa |
49,2 |
Chieti |
26,3 |
Mantova |
9,4 |
Isernia |
48,9 |
Novara |
24,5 |
Udine |
9,3 |
Enna |
48,4 |
Savona |
24,1 |
Modena |
8,7 |
Palermo |
47,5 |
Asti |
24,0 |
Lodi |
8,6 |
Cosenza |
47,3 |
Prato |
24,0 |
Piacenza |
8,1 |
Nuoro |
46,3 |
Arezzo |
23,9 |
Parma |
7,7 |
Sassari |
45,9 |
Genova |
23,4 |
Ferrara |
6,4 |
Trapani |
45,3 |
Macerata |
23,3 |
Bergamo |
5,9 |
Salerno |
44,3 |
Verbano-Cusio-Ossola |
22,7 |
Cuneo |
5,7 |
Agrigento |
43,4 |
Rimini |
21,7 |
Como |
5,6 |
Latina |
43,3 |
Rovigo |
21,3 |
Vicenza |
4,6 |
Potenza |
42,9 |
Livorno |
20,2 |
Pordenone |
3,0 |
Campobasso |
42,7 |
Fermo |
19,7 |
Bolzano |
1,5 |
Avellino |
42,3 |
Rieti |
19,6 |
Belluno |
0,9 |
Barletta-Andria-Trani |
40,9 |
Vercelli |
19,1 |
Trento |
0,6 |
Bari |
40,9 |
Biella |
18,8 |
Treviso |
0,5 |
Messina |
40,6 |
Torino |
18,8 |
Monza e della Brianza |
0,1 |
Taranto |
39,4 |
Firenze |
18,8 |
Lecco |
0,0 |
La Spezia |
38,7 |
Milano |
17,9 |
Carbonia-Iglesias |
. |
Lecce |
37,4 |
Pesaro e Urbino |
17,3 |
Medio Campidano |
. |
Matera |
37,3 |
Pisa |
17,1 |
Ogliastra |
. |
Benevento |
35,7 |
Aosta |
17,1 |
Olbia-Tempio |
. |
Fonte: Eurispes
Ristorazione, carne e pane i settori più colpiti
In cima alla black list dei settori più colpiti dalla frodi salgono la ristorazione, la carne e farine, pane e pasta sulla base del valore dei sequestri effettuati nel 2015 dai Carabinieri dei Nuclei Anti Sofisticazione (Nas). E’ quanto è emerso alla presentazione del quarto Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Il valore totale dei sequestri nel 2015 è stato di 436 milioni di euro con il 24% nella ristorazione, il 18% nel settore della carne e salumi, l’11% in quello delle farine, del pane e della pasta, ma settori sensibili sono, a seguire, quelli del vino, del latte e formaggi e dei grassi e oli come quello di oliva.
Nel solo 2015 sono stati chiuse dai Nas 1.035 strutture operanti nel sistema agroalimentare con il sequestro di 25,2 milioni di prodotti alimentari adulterati, contraffatti, senza le adeguate garanzie qualitative o sanitarie o carenze nell’etichettatura e nella rintracciabilità. Dai 38.786 controlli effettuati dai Nas nell’ultimo anno sono emerse non conformità in ben un caso su tre (32%). Il primato negativo della ristorazione va letto anche nel contesto dell’accresciuto interesse delle organizzazioni criminali nelle diverse forme del settore, dai franchising ai locali esclusivi, da bar e trattorie ai ristoranti di lusso e aperibar alla moda.
Dal finto extravergine italiano alla mozzarella con cagliate straniere, dal pane al carbone vegetale alle conserve di pomodoro cinesi fino al pesce avariato sono alcune delle frodi smascherate nel tempo, ma gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare. L’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora piu’ pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite con un sistema punitivo più adeguato come opportunamente previsto dalla proposta di riforma delle norme a tutela dei prodotti alimentari, presentata al Ministro della Giustizia Andrea Orlando dalla Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare presieduta da Giancarlo Caselli.
E’ importante la volontà di procedere ad un aggiornamento delle norme attuali, risalenti anche agli inizi del 1900, attraverso un’articolata operazione di riordino degli strumenti esistenti e di adeguamento degli stessi ad un contesto caratterizzato da forme diffuse di criminalità organizzata che alterano la leale concorrenza tra le imprese ed espongono a continui pericoli la salute delle persone. Per chiudere le porte alle frodi è necessario anche lavorare sulla tracciabilità e sulla trasparenza dal campo alla tavola con l’indicazione obbligatoria della provenienza degli alimenti come ha chiesto il 96,5 per cento degli italiani sulla base della consultazione pubblica on line sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle Politiche Agricole che ha coinvolto 26.547 partecipanti sul sito del Mipaaf dal novembre 2014 a marzo 2015.
Secondo una analisi della Coldiretti quasi la metà della spesa è anonima per colpa della contraddittoria normativa comunitaria che obbliga a indicare la provenienza nelle etichette per la carne bovina, ma non per i prosciutti, per l’ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Il risultato è che gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta come pure la metà delle mozzarelle.
18 febbraio 2016