Dodici miliardi di euro tra il 2010 e il 2014, a cui si aggiungono i risparmi strutturali nel tempo, rafforzati anche dalla legge di stabilità. È il conto che il pubblico impiego ha pagato finora a causa della crisi economica e dell’esigenza di stringere la spesa dedicata agli stipendi per tenere in piedi i saldi di finanza pubblica. L’austerità, avviata con la manovra estiva 2010, poggia sul congelamento di contratti e stipendi e sui vincoli al turnover. La legge di stabilità conferma anche per il 2014 il congelamento di rinnovi contrattuali e stipendi individuali, l’estensione del blocco al Ssn e ferma anche la misura dell’indennità di vacanza contrattuale fino al 2017 ai valori in vigore al 31 dicembre 2013. Effetti diversi dall’applicazione del congelamento alle retribuzioni: i più colpiti sono stati i dipendenti della scuola (-2,6% nel 2012 rispetto al 2011).
Dodici miliardi di euro tra 2010 e 2014, a cui si aggiungono i risparmi strutturali nel tempo rinvigoriti anche dalla legge di stabilità. È il conto che il pubblico impiego si è visto servire finora dalla crisi economica e dall’esigenza di stringere la spesa dedicata agli stipendi per tenere in piedi i saldi di finanza pubblica.
La legge di stabilità 2014 conferma anche per il prossimo anno il congelamento di rinnovi contrattuali e stipendi individuali, l’estensione del blocco al Servizio sanitario nazionale e ferma anche la misura dell’indennità di vacanza contrattuale fino al 2017 ai valori in vigore al 31 dicembre 2013. In più, per chi matura il diritto di andare in pensione a partire dal prossimo 1? gennaio, si allungano ulteriormente i tempi necessari a incassare la buonuscita, sotto forma di trattamento di fine rapporto o di fine servizio. La tranche che verrà erogata il primo anno scende da 90mila a 50mila euro, le quote da 50mila a 100mila euro saranno versate il secondo anno e le eventuali fette sopra quota 100mila euro andranno in pagamento il terzo anno: non è solo una questione di pazienza, però, perché gli importi tenuti in caldo dall’amministrazione non si rivalutano e quindi l’attesa si traduce in una perdita secca che, in termini di mancati interessi, ai livelli attuali può raggiungere il 7-8 per cento.
I 12 miliardi di euro sono i risparmi già contabilizzati dal bilancio pubblico alla voce «costi del personale» e, per il 2013-2014, previsti nei documenti ufficiali di finanza pubblica. I due pilastri dell’austerità avviata con la manovra estiva del 2010 sono da un lato il congelamento di contratti e stipendi, e dall’altro i vincoli al turn over che in generale hanno permesso di dedicare alle assunzioni prima il 20 e poi il 40% dei risparmi ottenuti con le uscite degli anni precedenti (con qualche deroga settoriale). Il pubblico impiego, però, è un mondo sterminato, che interessa 3,2 milioni di dipendenti (e quindi almeno 6-7 milioni di persone se si calcolano le famiglie) e produce risparmi importanti anche con regole all’apparenza di dettaglio. Il blocco dell’indennità di vacanza contrattuale, per esempio, da solo basta a tenere in cassa 560 milioni nel 2015 e 820 a partire dal 2016, e altri 540 milioni nel 2015 e 610 dal 2016 verranno garantiti dall’estensione del blocco al Servizio sanitario nazionale.
I tentativi di riorganizzare questo mondo, per esempio con l’individuazione delle «eccedenze» o le privatizzazioni, finora sono andati a vuoto e di conseguenza hanno dominato il campo le misure generalizzate, che provano a bloccare la spesa. Il prossimo sarà quindi il quinto anno di congelamento contrattuale, che in termini lordi, basando i calcoli sugli indici teorici di rivalutazione (Ipca) applicati per i rinnovi, significa una perdita media del 10,5% dello stipendio (in questo senso il 2014 assesta una sforbiciata dell’1,8%). Il grafico qui a fianco traduce la misura in numeri concreti, basati sugli stipendi medi lordi delle diverse categorie del pubblico impiego, e mostra che l’austerità costa quasi 3mila euro in cinque anni a un impiegato ministeriale e oltre 15mila euro a un dirigente di prima fascia in un ente pubblico non economico (Inps, Inail, Aci e così via). Anche i tentativi di cancellarla dall’ordinamento sono andati a vuoto, perché nelle ultime settimane la Consulta ha promosso prima lo stop ai contratti e poi il blocco per il personale non contrattualizzato (per esempio i professori universitari).
Più articolata l’applicazione del congelamento alle retribuzioni individuali, che ha avuto effetti diversi a seconda dei settori. I dati sulla dinamica delle retribuzioni medie, relativi al 2012, sono stati diffusi nei giorni scorsi dalla Ragioneria generale e mostrano un quadro composito: in generale nel 2012 le buste paga sono state ferme o hanno fatto qualche passo indietro, ma nelle Regioni autonome si registra un robusto +3,5% e nella magistratura un +8%, frutto anche della restituzione del contributo di solidarietà per le retribuzioni sopra i 90mila euro cancellato dalla Corte costituzionale.
In generale, comunque, la media dei comparti segna un -0,9% e l’austerità non promette di tramontare presto. Lo stesso ministro della Funzione pubblica, Gianpiero D’Alia, ha promesso che il 2014 sarà l’ultimo anno di stasi, ma ha ricordato che far ripartire i contratti significa mettere a bilancio 7 miliardi nel triennio. In teoria, la legge di stabilità permette di riavviare le trattative per la parte normativa, senza toccare quella economica, ma lo stesso indirizzo era stato espresso dal dipartimento nei mesi scorsi sotto forma di atti di indirizzo e non si era tradotto in pratica perché ogni ritocco delle regole ha riflessi economici: soprattutto dopo cinque anni di stasi.
Il Sole 24 Ore – 23 dicembre 2013