Il logoramento del dipendente, che si è esposto volontariamente a eccessi di lavoro per un lasso di tempo più o meno lungo, non comporta responsabilità del datore in base all’articolo 2087 del Codice civile, in quanto il lavoratore ha la facoltà di astenersi dalle prestazioni, la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla salute.
Ciò vale a maggior ragione per il dirigente, cui è riconosciuta piena autonomia di organizzazione del proprio lavoro e dei relativi ritmi. Questo è quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza 12725 del 23 maggio scorso.
Il caso concerne un dirigente che si rivolge al giudice, rivendicando, verso il proprio datore di lavoro, varie pretese, tra cui il risarcimento per il danno biologico causatogli, a suo dire, dall’eccessiva attività svolta. La sentenza di appello, però, rigetta il ricorso.
Il presunto danneggiato ricorre in Cassazione censurando vari profili della motivazione tra i quali quello sul mancato riconoscimento del nesso causale tra la condotta lesiva del datore di lavoro e il danno biologico. Sostiene, in particolare, che una condizione di lavoro stressante può essere fonte di responsabilità, in base all’articolo 2087 del Codice civile, per il datore e contesta che l’azienda avesse dimostrato di aver adottato misure organizzative adeguate a salvaguardare la sua integrità psico-fisica, acconsentendo, al contrario, tacitamente ai suoi eccessi volontari, nella quantità e qualità del lavoro, e, così, venendo meno all’obbligo di controllare la ragionevolezza della durata delle prestazioni.
La Cassazione, nel decidere sul punto, chiarisce, in primo luogo, sulla base di precedente giurisprudenza, che, nell’ipotesi di logoramento dell’organismo del dipendente, si resta fuori dall’ambito applicativo dell’articolo 2087 del Codice civile, se il logorio riguarda un dipendente esposto volontariamente a un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo. Ogni lavoratore, infatti, ha, in linea di principio, la facoltà di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute, essendo coinvolto un diritto fondamentale protetto dall’articolo 32 della Costituzione. Secondo i giudici, la lettura coordinata di questo articolo con l’articolo 2 della Costituzione esprime un’indicazione di fondo che privilegia la scelta soggettiva rivolta a migliorare il proprio stato fisico-psichico. In secondo luogo, sostiene che quanto detto vale, a maggior ragione, per il dirigente cui sia riconosciuta piena autonomia di organizzazione del proprio lavoro e dei relativi ritmi e orari. La Cassazione dichiara, pertanto, non fondato il ricorso sul profilo del mancato risarcimento del danno biologico, mentre lo accoglie per una diversa questione. È bene rimarcare che il caso si riferisce a eccessi di lavoro considerati, dai giudici di merito, come volontari.
Il Sole 24 Ore – 10 giugno 2013