C’è una riorganizzazione del perimetro delle amministrazioni centrali e periferiche e la riforma della dirigenza pubblica nel disegno di legge delega approvato ieri dal Consiglio dei ministri sotto il titolo “Repubblica semplice”. Un testo, nella versione di entrata, composto da 12 articoli e che affida ben 8 deleghe al Governo per aprire, tra l’altro, una nuova stagione di codificazione e semplificazione delle profluvio di norme che oggi regolano materie come le società partecipate, il lavoro pubblico, i controlli amministrativi e l’organizzazione delle Camere di commercio (per le quali nel decreto è invece previsto il dimezzamento delle quote di iscrizione dovute dalle imprese). Ma il testo reca con sé anche la seconda gamba su cui dovrebbe muoversi l’auspicata «staffetta generazionale nella Pa» evocata a più riprese dal ministro Marianna Madia. Il comunicato del governo con tutte le misure approvate
Si tratta dell’avvio del part-time al 50% incentivato (con contribuzione piena) per i dipendenti che si trovano a 5 anni dalla maturazione dei requisiti di pensionamento. Una misura accompagnata da nuove ipotesi di organizzazioni verticali delle mansioni, il telelavoro, sperimentazioni di co-working e smart working, voucher per le baby sitter, insomma uno strumentario che dovrebbe realizzare una vera conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nella Pa.
Cuore della delega è la riforma della dirigenza, calibrata nella visione del Governo per introdurre più criteri di mercato nelle dinamiche di carriera e di selezioni alle responsabilità.
I principi direttivi della delega porteranno a un ridimensionamento dei dirigenti attuali, con la definizione del numero massimo in rapporto al numero complessivo dei dipendenti assegnati a ogni amministrazione. Arriverà poi il ruolo unico cui si accederà per concorso sia per le amministrazioni centrali, istituito presso la Presidenza del Consiglio, sia per le amministrazioni periferiche e le autorità indipendenti, e vengono superate le due fasce attuali.
I dirigenti saranno distinti tra responsabili di gestione ed esperti con professionalità specifiche, avranno incarichi a termine (tre anni) mentre verrà confermata la possibilità di conferire incarichi dirigenziali a chiamata che potranno avere una durata coincidente con il mandato del ministro; tra l’altro nel decreto varato ieri per gli enti locali si prevede che gli incarichi a chiamata arrivino fino al 30% degli incarichi dirigenziali totali. Confermata nell’ampia delega per la riforma della dirigenza, la semplificazione dei criteri di valutazione della performance individuale e degli uffici e il ripensamento della struttura delle retribuzioni, con il famoso aggancio di una parte della retribuzione di risultato che potrà arrivare al 15% di quella complessiva (viene invece cancellata l’indennità di posizione) all’andamento del Pil. E confermato anche il criterio di “licenziabilità” nel caso il dirigente rimanga senza incarico per un tempo congruo che verrà stabilito in sede di conversione del ddl in Parlamento.
Il primo articolo della delega è dedicato alla riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato e delle strutture territoriali: uscirà da qui la riconfigurazione su base regionale delle Prefetture e il rilancio degli Uffici territoriali di Governo, con la sinergia di più funzioni pubbliche oggi svolte da amministrazioni ed enti diversi. Una delega che verrà realizzata in stretto coordinamento con Regioni, province e comuni, come previsto dall’intesa inter-istituzionale della scorsa settimana, e che garantirà un risparmio di spese complessive di almeno l’1% l’anno nei prossimi cinque anni.
Le altre deleghe puntano alla riorganizzazione della Conferenza dei servizi, del sistema dei controlli amministrativi (Corte dei conti e Ragioneria) mentre sul fronte delle semplificazioni arriva l’istituzionalizzazione di prassi di coordinamento stretto tra Governo e Conferenza unificata e l’impegno alla presentazione di un’Agenda annuale delle semplificazioni da realizzare sulla base di precisi cronoprogrammi.
Bonus con tetto del 15% ma revoca dell’incarico se l’obiettivo non è raggiunto
Per i dirigenti dello Stato arriva il ruolo unico, il contratto a termine, la possibilità di essere licenziati e lo stipendio misurato anche in base all’andamento del Pil. Norme contenute nel disegno di legge delega varato ieri dal Consiglio dei ministri. L’obiettivo dichiarato dal governo è quello di far entrare più mercato, carriera e competizione in quello che la Madia ha definito un «mondo ingessato».
Il contratto dei dirigenti pubblici sarà a termine e durerà tre anni, i risultati del mandato saranno valutati da una Commissione. Se alla fine del periodo al dirigente non sarà assegnato un nuovo incarico, scatterà la messa in mobilità e alla fine di questa il possibile licenziamento. Il loro stipendio sarà in parte ancorato all’andamento del Pil e in parte legato ai risultati ottenuti (ma per il bonus ci sarà un tetto massimo sullo stipendio del 15 per cento). Ci sarà il diritto all’aspettativa per chi deciderà di fare esperienza presso i privati o all’estero, ma ai dirigenti che avranno raggiunto l’età pensionabile (anche nelle società partecipate) non sarà più possibile assegnare nuovi incarichi. Il decreto legge stabilisce invece che, negli enti locali, la quota di dirigenti assunti per competenze specifiche e al di fuori dal concorso pubblico passerà dal 10 al 30 per cento.
Un capitolo a parte del decreto è poi dedicato alle Authority: i componenti delle varie autorità garanti, una volta arrivati a scadenza e per un periodo di quattro anni, non potranno nuovamente essere eletti in un altro organismo. Non sarà quindi più possibile il passaggio da una Authority all’altra. Le autorità garanti, inoltre, dovranno ridurre del 50 per cento le spese per consulenza e del 20 per cento i bonus concessi a tutti i dipendenti, dirigenti compresi.
Il Sole 24 Ore – 14 giugno 2014