La disoccupazione in Italia continuerà ad aumentare per quest’anno e il prossimo, e nell’ultimo trimestre del 2014 arriverà al 12,6%, contro il 12,2% di fine maggio 2013.
Lo prevede l’Ocse, nel suo Employment outlook. I disoccupati nei Paesi Ocse sono oltre 48 milioni, di cui ben 16 milioni sono il frutto di 5 anni di crisi. Tuttavia non tutti viaggiano alla stessa velocità. Dall’inizio della crisi il tasso di disoccupazione é restato sotto al 5% in 5 paesi (Austria, Giappone, Corea del Sud, Norvegia e Svizzera), mentre é volato oltre il 25% in 2 Paesi (Grecia e Spagna). Sempre in Spagna e Grecia il tasso di disoccupazione é salito di oltre il 18% dall’inizio della crisi, mentre in Italia, Irlanda, Slovenia e Portogallo è salito tra il 5% e il 10%. In compenso in Giappone e Corea del Sud la disoccupazione é aumentata meno dello 0,5% e in Germania, Cile, Turchia e Israele il tasso di disoccupazione adesso é più basso che all’inizio della crisi. E i pochioccupati sono a tempo determinato: infatti oltre un giovane su due in Italia ha un lavoro a precario. In particolare, si tratta del 52,9% dei giovani tra i 15 e i 24 anni. Nel 2011, erano il 49,9% e nel 2012 il 42,3%. Nel 2000 la percentuale era solo del 26,2%. Nel rapporto si evince anche che in Italia, nel 2012, la quota complessiva di chi ha un lavoro precario é del 13,8% e che la quota delle donne é del 48,4 per cento. In particolare, in Italia, la riforma Fornero «dovrebbe migliorare la crescita della produttività e la creazione di posti di lavoro nel futuro», grazie in particolare al nuovo art.18 che riduce la possibilità di reintegro in caso di licenziamento, rendendo le procedure di risoluzione più rapide e prevedibili. Ciononostante, aggiunge l’Ocse, «l’Italia resta uno dei Paesi Ocse con la legislazione più rigida sui licenziamenti, in particolare riguardo alla compensazione economica in caso di licenziamento senza giusta causa e la definizione restrittiva di giusta causa adottata dai tribunali».In questo contesto,si legge poi nel rapporto, «gli elementi raccolti suggeriscono che limitare la diffusione dei reintegri sia un elemento chiave per migliorare i flussi occupazionali e la produttività».
Il Sole 24 Ore – 16 luglio 2013