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Dossier Pensioni, rispunta il prestito aziendale. Si va verso il rinvio del pacchetto flessibilità. Solo tutele ristrette

prestitopensioni1-bigL’ipotesi di una misura di flessibilità in uscita con penalizzazioni generalizzata per tutti i lavoratori con 63 anni e sette mesi a partire dal 2016 sta perdendo quota nel confronto tecnico sul dossier pensioni. L’intervento è troppo oneroso – si parla di oltre 4-5 miliardi entro il 2023 – e quindi si punterebbe su una più leggera forma di prestito pensionistico da garantire con il coinvolgimento delle imprese. In legge di Stabilità potrebbe anche non entrare un pacchetto previdenziale ma solo nuove tutele per platee ristrette di esodati e la garanzia per le donne con 58 anni e 35 di contributi di optare per l’uscita anticipata con penalizzazione del 3-3,5% l’anno. Altre misure a basso impatto finanziario come le semplificazioni delle ricongiunzioni e delle totalizzazioni restano in campo.

Nel caso in cui il pacchetto flessibilità non entrasse più in manovra, come sembra più probabile in queste ultime ore, l’intervento potrebbe essere confezionato in un disegno di legge con un iter più lungo.

La decisione sulla strada da prendere maturerà prima dell’inizio della prossima settimana, intanto però si riprende a lavorare a uno schema di prestito pensionistico un po’ più vantaggioso delle forme già previste nella legge Fornero per consentire alle aziende, con accordi sindacali, di pagare lo scivolo pensionistico a lavoratori senior. L’azienda, a fronte della possibilità di aumentare il turn over svecchiando il personale, infatti, dovrebbe pagare i contributi per la persona che esce in anticipo rispetto all’età di vecchiaia fino al raggiungimento dei requisiti per l’accesso alla pensione finale. L’impresa pagherebbe oltre ai contributi degli ultimi anni anche una quota della pensione ma questa dovrebbe poi essere restituita dal lavoratore, tramite trattenute Inps sull’assegno a regime. In uno schema di questo tipo gli oneri a carico della finanza pubblica sarebbe limitatissimi. L’ipotesi di lavoro è quella di alleggerire l’attuale schema dei contratti di solidarietà espansiva per incentivare le imprese al prestito.

Per le persone che sono state licenziate tra il 2012 e il 2015 e non rientrano quindi tra gli esodati il Governo pensa poi a un meccanismo di accesso anticipato alla pensione a carico dello Stato ma con una decurtazione ugualmente legata all’importo del prestito pensionistico e al tempo per il quale si percepisce. La misura potrebbe affiancarsi sia al prestito aziendale sia alla nuova «opzione donna», ovvero alla possibilità per le donne del settore privato (per le quali dal 2016 è previsto un aumento di 22 mesi dell’età di vecchiaia) di uscire dal lavoro tre anni in anticipo a fronte di una decurtazione della pensione nel rispetto dei principi di equità attuariale (circa 3,5% ogni anno) e non più con il ricalcolo interamente contributivo. La perdita secca non supererebbe il 10%, in questo caso, contro il 25% della vecchia misura sperimentale lanciata nel 2004 e che si chiude quest’anno.

Se la scelta di non mettere in Stabilità norme per la flessibilità generalizzata, le risorse disponibili potrebbero essere utilizzate sulla misura di contrasto alla povertà, che verrebbe confermata nell’estensione della sperimentazione Sia (Sostegno per l’inclusione attiva implementato dal precedente governo) su tutto il territorio con un’attenzione particolare ai nuclei con minori. L’intervento sembra destinato a confluire in un Ddl collegato alla manovra. Che conterrà sicuramente una capitolo sulla sanità. Da un primo confronto tra il premier, il ministro Beatrice Lorenzin e una delegazione di governatori guidata da Sergio Chiamparino, sarebbe emersa l’ipotesi di arrivare a una applicazione più stringente dei costi standard in sanità (“a sistema”), anche per rendere più digeribile l’ennesima riduzione di risorse da parte delle Regioni più “virtuose”, alle quali verrebbe garantito un mini-fondo premiale all’interno del fondo sanitario.

Dalla sanità dovrebbero comunque arrivare almeno 2-2,5 miliardi di minore spesa, compresa la riduzione della quota aggiuntiva destinata al fondo sanitario. Il mosaico della spending non è ancora completato, al momento i risparmi realizzabili sarebbero a quota 6-7 miliardi con la partita sui tagli ai ministeri ancora in corso. Proprio per le difficoltà di centrare l’obiettivo di una stretta significativa sui dicasteri, sarebbe stata rilanciata la vecchia regola del taglio del 3%, anche se differenziato, imposta lo scorso anno direttamente dal premier.

Davide Colombo e Marco Rogari – Il Sole 24 Ore – 6 ottobre 2015 

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