È una battaglia quella sul Made in, ossia sull’etichettatura che precisi l’origine dei prodotti di consumo, che Confindustria non ha assolutamente l’intenzione di abbandonare. «È una battaglia di civiltà a favore del consumatore italiano», dice Lisa Ferrarini, vice presidente per l’Europa dell’associazione imprenditoriale. Per questo Ferrarini esorta il governo Renzi, presidente di turno dell’Unione, a impegnarsi per trovare un accordo tra i Ventotto entro la fine dell’anno.
«Sono molto preoccupata. Dobbiamo trovare una intesa il 4 dicembre quando si terrà un Consiglio sulla competitività – spiega la signora Ferrarini, che ha avuto a Bruxelles incontri in Parlamento e alla Commissione –. Il governo italiano deve impegnarsi a fondo per convincere i suoi partner. Speriamo di trovare sotto l’albero di Natale questo regalo. L’etichettatura d’origine è una vera tutela per il consumatore italiano».
Da mesi, la questione del Made in è al centro di accese discussioni a livello europeo. Un regolamento presentato dalla Commissione Barroso, e fortemente voluto dall’allora commissario all’Industria Antonio Tajani, è bloccato al Consiglio. I Ventotto sono divisi tra paesi del Nord, che producono spesso all’estero e non vogliono quindi troppe precisazioni sull’origine dei prodotti, e i paesi del Sud che chiedono protezione contro la contraffazione.
Il Parlamento europeo ha dato a larga maggioranza il suo benestare all’etichettatura dei prodotti. Al Consiglio invece, lo scontro è duro: 11 paesi sono favorevoli, tra cui Italia e Francia; 16 sono contrari, tra cui la Germania e i paesi scandinavi; uno si è astenuto. Gli stati membri del fronte del Nord hanno chiesto uno studio sui costi, nel tentativo di rallentare l’iter decisionale. Lisa Ferrarini sostiene che l’obbligo di etichette di origine dei prodotti è indispensabile.
«Prima di tutto, l’etichettatura sulla provenienza delle merci servirebbe a garantire trasparenza al consumatore. Spetterà poi a lui o a lei prendere una decisione sulla base dei suoi desideri, delle sue percezioni, delle sue disponibilità economiche», spiega la vice presidente di Confindustria. «Si calcola che in Italia sono aumentate le dermatiti per i bambini con meno di un anno a causa dei coloranti di alcuni vestiti. È la tutela dei consumatori che è a rischio».
In secondo luogo, l’etichetta Made in è necessaria per garantire pari condizioni con i partner internazionali. «L’Europa nell’esportare deve dettagliare l’origine dei prodotti. Con un costo evidente per i produttori europei. Invece, ad esempio, per le merci cinesi che giungono in Europa non c’è alcun obbligo di questo tipo». Confindustria vede anche chiare ricadute economiche per l’Italia. L’obbligo di precisare l’origine delle merci darebbe infatti nuovo valore ai prodotti italiani, garantendo nuovo lavoro alle aziende nazionali e contribuendo a nuovi investimenti.
«Nel solo settore delle calzature, ci sarebbe un aumento dell’occupazione del 10% e dei livelli produttivi del 20%», precisa ancora Ferrarini. A questo proposito, la vice presidente di Confindustria cita l’esempio del produttore di borse Piquadro, che ha deciso di riportare in Italia almeno in parte la sua produzione cinese «perché il Made in Italy ha un valore maggiore del Made in China, agli occhi di molti consumatori».
Con l’etichetta poi si lotterebbe contro la contraffazione: «Ogni anno l’Italia importa merce contraffatta per circa sette miliardi di euro». Il principio di una etichetta con l’origine del prodotto, conclude la signora Ferrarini, «mi sembra talmente logico, naturale, normale che mi è difficile pensare che non si possa ottenere un accordo».
Il Sole 24 Ore – 6 novembre 2014