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Paolo De Castro designato referente europeo per i negoziati di libero scambio Ue-Usa. «Agroalimentare centrale nel Ttip»

DeCastroAlla fine Paolo De Castro l’ha spuntata. L’ex ministro italiano dell’Agricoltura sarà il referente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo per i  negoziati di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti attualmente in corso. La designazione decisa dalla Comagri, consentirà all’europarlamentare Pd e coordinatore di  commissione per il gruppo dei socialisti e democratici di partecipare alle riunioni negoziali dell’Esecutivo Ue, e di far  parte della Commissione per il Commercio internazionale (Inta), presieduto dal presidente Martin Schulz,  insieme agli altri relatori per le diverse aree di competenza. “Il sistema  agroalimentare europeo – ha detto De Castro  – sarà centrale nel Ttip – è nostro compito difendere con tenacia gli alti standard  qualitativi ai quali i consumatori Ue sono abituati, tutelando  nel contempo le produzioni che rappresentano una fondamentale  leva di mercato per molti paesi comunitari, Italia in primis”.

Per De Castro é anche necessario fare chiarezza sull’andamento  dei lavori negoziali, eliminando possibili “zone grigie” che  rischiano di farlo percepire in maniera errata all’opinione  pubblica. “Lavoreremo – ha concluso – a un negoziato trasparente  e capace di creare concrete opportunità di crescita per un settore di grandissimo valore economico, ma anche sociale e  ambientale, come quello agricolo e alimentare europeo”.

De Castro, 56 anni, è stato eletto nel 2006 depuato nella lista dell’Ulivo in Puglia e nel maggio dello stesso anno è nominato ministro delle Politiche agricole nel Governo Prodi; nel 2008 viene eletto senatore e dopo riveste la carica di vice presidente della Commissione permanente Agricoltura e produzione agroalimentare. Nel 2009 viene eletto deputato europeo nella lista del Partito Democratico e riconfermato nel 2014 .

De Castro: agroalimentare settore fondamentale nell’integrazione fra mercati Usa e Ue

«Quest’ultimo scorcio di 2014 e il 2015 saranno passaggi fondamentali per l’economia italiana. Gli equilibri geoeconomici internazionali stanno mutando. Bisogna cogliere al massimo la disponibilità dell’amministrazione Obama a integrare di più i mercati americani ed europei. E l’agroindustria costituisce un tassello fondamentale di questo processo, che per l’economia italiana può rappresentare un lievito fondamentale per la crescita. In generale del Continente. E in particolare del nostro Paese, che ha bisogno come il pane di nuovi driver».

Paolo De Castro, dal 1998 al 2000 e dal 2006 al 2008 ministro dell’Agricoltura dei Governi D’Alema e Prodi, è oggi coordinatore per il Gruppo dei Socialisti e Democratici della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo. In più passaggi nella sua vicenda di europarlamentare, è entrato nella rosa dei papabili per diventare Commissario europeo. Ieri De Castro è stato nominato standing rapporteur – relatore permanente – in questo delicato segmento nei negoziati del Ttip, il Transatlantic Trade and Investment Partnership che sta provando a rimodulare i sistemi di intescambio e gli standard comuni, riducendo asimmetrie giuridiche e diminuendo dazi sostanziali.

Questi negoziati riguardano tutti gli scambi economici: dall’automotive all’elettronica di consumo, dalla meccanica strumentale all’agroindustria. Perché quest’ultima ha un peso fondamentale?

Perché le grandezze economiche sono già rilevanti. E perché c’è un effetto moltiplicatore potenziale enorme. L’Unione Europea ha esportato verso gli Stati Uniti, nel 2013, beni per 110 miliardi di euro. Di questi, 15 miliardi sono riferibili all’agroalimentare. Sia come Europa sia come Italia siamo esportatori netti: sempre nel 2013, i prodotti americani arrivati in Europa hanno avuto un valore aggregato di 10 miliardi di euro, 800 milioni in Italia. Una quota cospicua dei negoziati fra Unione Europea e Stati Uniti, su cui dovrò riferire quanto possibile al Parlamento che poi dovrà dare il suo avallo ai risultati finali, verte proprio su questo comparto. Qual è la tendenza di lungo periodo? Negli ultimi dieci anni, fra 2003 e 2013, l’export comunitario dell’agroalimentare nel suo complesso verso gli Stati Uniti è cresciuto del 35%, quello statunitense verso l’Unione Europea del 32 per cento. Considerando soltanto l’Italia, l’export è salito nello stesso periodo del 53,4%, mentre l’import americano è aumentato del 10 per cento.

Quali sono i principali problemi su cui si sta lavorando?

Ci sono i blocchi tariffari. Quelli sanitari. E ci sono le quote: per molti alimenti oltre un certo tetto di quintali e di litri non si può andare. Sono forme protezionistiche e disarmonizzazioni giuridiche che vanno affrontate una alla volta. E, con competenza e disponibilità, vanno “smontate” da ambo le parti. Facciamo l’esempio dei blocchi sanitari. Ci sono i livelli dei residui di fitofarmaci ammessi in Europa ma non negli Stati Uniti che bloccano l’olio mediterraneo. Oppure, per gli americani è un problema l’insaccato di carne cruda, che da loro non esiste: i salumi, il culatello e il prosciutto crudo di Parma negli Stati Uniti sono visti con sospetto dal regolatore. Allo stesso tempo noi vietiamo l’importazione di carne di pollo che non è trattato durante la macellazione con norme europee, con l’esito paradossale che i nostri supermercati sono pieni di carne di pollo cambogiana e thailandese.

Sì, ma una armonizzazione e una integrazione ragionata dei mercati interessa di più all’Europa.

Questo senz’altro. Gli Stati Uniti esportano da noi soprattutto commodity agricole. Noi, e in particolare i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, vendiamo negli Stati Uniti prodotti lavorati ad alto valore aggiunto. Il mercato più ricco del mondo: 330 milioni di consumatori con una notevole propensione ai consumi e una intensissima fascinazione verso la cultura materiale europea e in particolare il Made in Italy.

Lei ha citato i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ci sono differenze strategiche – e di legittimi interessi – fra il Nord e il Sud Europa, in questa delicata partita con gli Stati Uniti?

Senz’altro le strutture economiche del Sud Europa, in cui esiste appunto una prevalenza di prodotti ad alto valore aggiunto, sono diverse rispetto a quelle del Nord Europa, come la Danimarca, l’Olanda, la Germania. Esistono sensibilità diverse. Ma il confronto con gli Stati Uniti, in questa fase, è troppo strategico per non riuscire a trovare una dimensione unica e univoca dell’essere Europa. Basti pensare che, secondo una simulazione effettuata dall’ufficio studi del Parlamento europeo, se venissero azzerate le barriere tariffarie e fossero ridotte di un quarto quelle non tariffarie, l’export europeo verso gli Stati Uniti aumenterebbe del 120 per cento.

Anche perché, con l’atteggiamento dell’amministrazione Obama favorevole sia al libero scambio sia al ritorno della centralità della manifattura in ogni suo aspetto inclusa la trasformazione dei prodotti agricoli, il momento storico appare favorevole.

È così. Ma adesso, a seguito dei risultati delle elezioni di Midterm, i negoziati del Ttip potrebbero subire un’accelerazione. Sarà quindi necessario che l’Unione Europea continui a lavorare per sfruttare al meglio l’inclinazione positiva della Casa Bianca. Il 2015 sarà un anno strategico. È vero che, se nel 2016 dovesse prevalere un candidato democratico, non vi sarebbero ragioni per ipotizzare una mutazione della linea finora seguita. Se alle prossime elezioni dovesse invece prevalere un repubblicano, si porrebbe la questione di quali linee di politica economica seguirebbe, ma l’apertura all’interno del Grand Old Party su temi come il mercato e il libero scambio è già stata dimostrata. La tendenza storica, e questo è quello che più conta, sembra ben avviata. Con un grande vantaggio potenziale per l’economia italiana.

Il Sole 24 Ore – 6 novembre 2014 

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