Marco Zatterin. Se fosse per il popolo, sarebbe già fatto. Un recente sondaggio Eurobarometro rivela che l’84% dei cittadini europei ritiene necessario conoscere l’origine del latte che arriva sulle tavole di casa, mentre oltre il 90 per cento vorrebbe avere etichette trasparenti, nel senso di ben fatte e comprensibili, su tutti i prodotti alimentari trasformati. Non dovrebbero esserci dubbi.
Eppure, a fronte di 422 favorevoli, sono stati 159 gli eurodeputati che giovedì hanno cercato di fermare la proposta che vuol rendere obbligatoria l’etichetta di origine proprio per i prodotti trasformati e per il latte. Mica pochi. E chiara espressione di una forte lobby industriale, in particolare nordica, che guadagna più con la quantità che con la qualità. L’appello del Parlamento europeo è tanto deciso quanto difficile da tradurre in pratica. La risoluzione votata a Strasburgo non è vincolante, e si può solo sperare che venga tenuta in considerazione dalla Commissione e, ancor più, dai governi nazionali che si riuniscono nel Consiglio.
E’ proprio in questa sede che, sino a questo momento, i frenatori (se non gli annullatori) sono riusciti ad avere la meglio ogni volta che si è aperto il sacrosanto dibattito sull’origine. Gli schieramenti si sono ripetuti in ogni singola occasione, in genere mediterranei contro nordici, industria del gusto contro quella dei numeri.
L’euroassemblea ritiene che l’etichettatura obbligatoria renderebbe più trasparente la catena di approvvigionamento alimentare e aiuterebbe pertanto a mantenere la fiducia dei consumatori nei prodotti alimentari. Il caso più classico, ricordato dal presidente della commissione Agricoltura dell’assemblea, Giovanni La Via, è lo scandalo della carne di cavallo trovata nelle lasagne surgelate venduto nel Regno Unito. La Commissione Ue, braccio legislativo dell’Unione, ha un avviso però differente e il responsabile, Vytenis Andriukaitis, è corso a commentare che «l’etichettatura volontaria rimane la soluzione migliore».
Ognuno penserà per sé, così non si disturba nessuno. Esiste anche la possibilità per le capitali di farsi autorizzare le etichette obbligatori per alcuni prodotti. Francia e Lituania hanno già detto di volerlo fare. E l’Italia? A Roma sono in linea col voto di Strasburgo. Oltretutto, un’indagine commissionata da Ismea e citata dal ministro Martina rileva che il 67% degli italiani si dichiara disposto a pagare sino l 20% in più per un prodotto lattiero caseario che abbia in etichetta l’origine italiana.
In effetti può succedere di tutto. Al Consiglio Agricolo del 17 maggio, il governo ceco ha chiesto di discutere un tema che cruccia parecchio i suoi cittadini. Uno studio ha dimostrato che una stessa azienda, con lo stesso marchio, vende prodotti differenti nei diversi paesi dell’Unione. Se ne sono accorti perché alcuni tipi di alimento – soprattutto i biscotti e i preparati più industriali – risultano avere ingredienti di qualità diverse, e peggiore in Repubblica Ceca rispetto a quanto accade altrove. Si chiedono, a Praga, se questo sia il modo di gestire un mercato. La risposta è naturalmente «no». Anche se questa, in materia di delizie della tavola, non è l’unica domanda con ottiene una replica che i consumatori non vorrebbero sentire.
La Stampa – 15 maggio 2016