Richieste alla Commissione perché consulti i produttori sulle “forme addizionali di informazione” ai consumatori, come il “traffic light” del Regno Unito. Entro il 2017 un report. Italia in prima linea. Entro il regolamento 1169/2011 dell’Unione vi è una previsione normativa molto chiara: la Commissione potrà adottare atti di implementazione per valutare la necessità di armonizzare le “forme addizionali di informazione” (incluse le etichette alimentari) ai consumatori come disposte a livello nazionale. Tali forme addizionali, previste dall’articolo 35 della norma, sono quelle che hanno consentito ai policy maker inglesi di adottare senza troppi problemi il già tanto criticato sistema dei “semafori in etichetta”, per dare un rating nutrizionale agli alimenti.
Strumento contestatissimo, che ha sollevato un’ondata di reazioni in tutta Europa. Le accuse, ben note: impedire una libera circolazione dei prodotti alimentari “non pensati” per tale schema, ed in particolare, i prodotti agricoli “non riformulati” in base a scopi di migliore presentazione in etichetta.
La Commissione e il suo ruolo
Tuttavia, l’armonizzazione delle etichette volontarie da parte della Commissione Europea-prevista all’articolo –36, comma 4 non ha tempi certi. Recentemente, una parte dei produttori UE ha pertanto chiesto apertamente alla Commissione di essere consultata qualora tali forme addizionali di comunicazione vengano diffuse. La Commissione infatti è dotata del potere, mediante atti delegati, di provvedere alla “fornitura di informazioni volontarie sui prodotti alimentari”, al fine di “assicurare che i consumatori siano adeguatamente informati, quando operatori del settore alimentare forniscono informazioni volontarie sugli alimenti che sono contrastanti e possono indurre in errore o confondere il consumatore”.Uno sforzo di armonizzazione insomma, qualora diversi Stati membri decidessero di adottare misure nazionali simili a quella inglese, con rischio effettivo di una diffusa frammentazione del mercato interno in risposta a tanti standard diversi. Il rischio è una confusione sovrana, con barriere alla circolazione del cibo in tutta Europa.
Italia in prima linea
Non a caso l’Italia -da sempre contraria allo schema inglese (Coldiretti già dal 2007 esprimeva dubbi)–, in occasione di uno dei recenti consigli dei ministri UE ha ricevuto l’appoggio da altri paesi: coloro che si sono allineati, Spagna, Lussemburgo, Repubblica Slovacca, Cipro, Francia, Portogallo, Grecia, Romania e Slovenia risultano infatti tutti contrari allo schema britannico.
Tra i motivi di maggiore critica, che sono stati oggetto anche di un paio di interrogazioni da parte di eurodeputati italiani, (De Castro e Mara Bizzotto), la possibilità di discriminare gli alimenti della tradizione mediterranea,impedendo loro un accesso equo al mercato inglese. Altra critica, il fatto che in condizioni di forte concentrazione tra i maggiori retailer come nel caso inglese, una iniziativa volontaria finisce per diventare uno standard de-facto, con una restrizione ulteriore della libera concorrenza. La contrarietà allo schema però non è stata espressa solo su base territoriale, con il Sud Europa in rivolta: ma anche su base “produttiva”. Gli agricoltori europei, a partire dagli stessi inglesi, sono assolutamente contrari a tale schema, in grado di penalizzare fortemente matrici alimentari agricole.
La Commissione Europea aveva risposto alle interrogazioni parlamentari lo scorso novembre 2012. Se da un lato aveva rigettato l’accusa di poca scientificità retrostante allo schema, non aveva del tutto rigettato lapossibilità di un impedimento della libera circolazione dei prodotti alimentari. Demandando la verifica di tale condizione ad una analisi successiva.
Analisi nel 2017
In ogni caso, come chiarito dallo stesso regolamento 1169, nel 2017 dovrà essere finalizzato un rapporto per dimostrare se davvero ci sono effetti discorsivi sul funzionamento del Mercato interno UE. Nell’articolo 36 infatti, si precisa che “Entro il 13 dicembre 2017, alla luce dell’esperienza acquisita, laCommissione presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’uso di forme di espressione e presentazione supplementari, sul loro effetto sul mercato interno e sull’opportunità di armonizzare ulteriormente tali forme di espressione e presentazione. A tal fine gli Stati membri forniscono alla Commissione le pertinenti informazioni sull’uso di tali forme di espressione e presentazione supplementari sul mercato nel proprio territorio. La Commissione può corredare tale relazione di proposte di modifica delle pertinenti disposizioni dell’Unione”
Tuttavia, è chiaro il senso paradossale della policy. Da un lato si dà il “liberi tutti”, salvo poi accorgersi che forse è il caso di procedere con più ordine (da recuperare “retroattivamente”: non era più semplice e per le imprese meno “costoso” dare indicazioni in partenza? Qualcuno si troverà magari a dover rifare etichette già bell’ e pronte).
Il tutto mentre l’altra grande partita- quella sui profili nutrizionali- ancora tace. Con possibili effetti incrociati, di cui necessariamente si dovrà tenere conto, e con una Commissione “dimissionaria”, quindi con tempi che non si preannunciano rapidissimi.
Sicurezza Alimentare Coldiretti – 15 gennaio 2014