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    Home»Notizie ed Approfondimenti»Formule per salvare il pianeta assetato. Il nuovo rapporto mondiale delle Nazioni Unite presentato a Brasilia
    Notizie ed Approfondimenti

    Formule per salvare il pianeta assetato. Il nuovo rapporto mondiale delle Nazioni Unite presentato a Brasilia

    Cristina FortunatiInserito da Cristina Fortunati18 Marzo 2018Nessun commento6 Minuti di lettura
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    Nel Cantico delle Creature Francesco d’Assisi loda Dio per “sora acqua, la quale è molto umile, et utile, et preziosa et casta”. Il Papa, che del poeta e uomo religioso medievale ha preso il nome, diceva alcuni mesi fa, ricevendo i campioni italiani di nuoto, che si deve «provare ripugnanza verso tutto ciò che inquina», perché, «l’acqua è vita, [e] senza acqua non esiste la vita».

    Nell’universo esiste tantissima acqua, essendo tale composto chimico un sottoprodotto della formazione delle stelle. Alcuni anni fa è stata osservata la più antica e ingente riserva d’acqua conosciuta, in una galassia distante circa 12 miliardi di anni luce: le linee spettrali di vapore acquo indicano la presenza di 140 trilioni di volte l’acqua degli oceani terrestri. Molta acqua nelle galassie o sui pianeti, che però non è vita. La vita terrestre è comunque in gran parte acqua. Fino al 90% del nostro peso è dato dall’acqua (il 99% delle molecole del nostro corpo) e circa il 66% di una persona adulta (non obesa) è acqua (in un neonato il 78%). Il nostro cervello, cioè la sostanza della nostra consapevolezza, è acqua per il 73%. Mentre i polmoni per l’83%. L’acqua, diceva Leonardo da Vinci che ne era quasi ossessionato come si evince dal Codice Leicester, è «la forza motrice della natura».

    Perché l’acqua è importante per la vita? La peculiare struttura dell’acqua favorisce e modula la formazione dei legami idrogeno tra le macromolecole biologiche, che contengono solo una parte dell’informazione per le funzioni che devono svolgere. Nel senso che i circuiti informazionali che sono alla base della vita emergono dalle integrazioni di complessi macromolecolari, fra loro e con composti ambientali. In primo luogo, con l’acqua.

    Il 70% del della superficie del Pianeta è acqua, ma l’acqua dolce è solo il 2,5%. Sostenendo lo sviluppo di ogni forma di vita, l’acqua è anche un vettore di patogeni, cioè terribili infezioni che uccidono soprattutto bambini. Il ripensamento dell’igiene su basi scientifiche dalla seconda metà dell’Ottocento, cioè la costruzione di impianti fognari e la potabilizzazione dell’acqua, hanno cambiato definitivamente la salute e lo scenario della sanità pubblica occidentale. Almeno un terzo degli abitanti del pianeta rimane però esposto a acqua contaminata e non ha accesso ai servizi sanitari. La qualità dell’acqua dolce è minacciata anche da agenti organici, da disastri naturali, dal cambiamento climatico che produce salinizzazione, dalla crescente domanda di cibo ed energia, dallo sviluppo di infrastrutture urbane ed extraurbane e dall’estrazione di risorse minerarie. Inoltre, dall’80 al 90% delle acque reflue è raccolto in sistemi non appropriati. L’acqua di scarsa qualità riduce anche la biodiversità e la sostenibilità dei modi di produzione di cibo ed energia. Le Nazioni Unite stimano che i fiumi di America Latina, Africa e Asia siano per un terzo contaminati da patogeni, per un settimo da agenti organico e per un decimo da moderata salinità.

    Il fatto che l’acqua sia necessaria alla vita, e che debba essere accessibile secondo determinate quantità e qualità, nel senso che quando è scarsa o mal gestita diventa vettore di microrganismi mortali e sostanze tossiche o causa catastrofi ambientali, ha portato l’ONU a riconoscere nel 2010 all’acqua e all’igiene, sullo stesso piano, lo stato di diritti umani fondamentali. Ma in vaste zone del pianeta l’acqua è scarsa, per cui è fonte di tensioni belliche e instabilità politiche. Le organizzazioni internazionali raccomandano che un minimo giornaliero di 20 litri di acqua sia disponibile pro capite a non più di un chilometro da ogni abitazione. Il consumo di acqua cresce però con il PIL e mentre nei paesi sviluppati oscilla tra 200 e 300 litri al giorno, in diverse zone dell’Africa si ha un consumo medio inferiore a 10 litri – sempre pro capite. La scarsità di acqua dolce, a fronte della domanda, è ritenuta la più vasta e grave crisi globale che il mondo dovrà affrontare nei prossimi decenni.

    Ci sono prove che in numerosi casi sarebbe possibile recuperare efficienza nell’uso e nell’accesso all’acqua concedendone la gestione a privati, visto che i rappresentanti politicamente eletti non sono in grado di agire sulle cause della scarsità. Il fatto però che l’acqua non sia sostituibile, che ognuno debba disporre di acqua da bere al bisogno e che dall’accesso all’acqua dipenda anche il diritto al cibo, porta chi ragiona su basi ideologiche e le ONG nel mondo a combattere i tentativi di usare, anche quando si sa che funzionerebbe, lo strumento del mercato per governare i problemi di gestione inefficiente e degrado.

    Come affrontare dunque l’emergenza idrica planetaria? «La risposta è nella natura»: questo il messaggio del rapporto mondiale 2018 delle Nazioni Unite (United Nations World Water Development Report, WWDR), che sarà presentato a Brasilia domani e diffuso in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita nel 1993 e che si celebra il 22 marzo. Il rapporto, che sarà presentato anche al Labirinto della Masone, è la più autorevole pubblicazione, con periodicità annuale dal 2012, sullo status delle risorse di acqua dolce nel mondo, e ha lo scopo di fornire ai decisori i dati e suggerire gli strumenti per formulare e implementare politiche idriche sostenibile.

    Il nuovo rapporto ha per titolo Nature based solutions for water e difende la tesi che sia possibile ridurre le alluvioni, le siccità e l’inquinamento dell’acqua ispirandosi alla natura. Cioè usando o imitando i processi scoperti o inventati dalla natura per affrontare le sfide contemporanee di gestione dell’acqua. Si pensa che nel governo dell’acqua prevalgano le infrastrutture costruire dall’uomo (cosiddette «grigie»), e che l’enorme potenziale dato dalle soluzioni naturali sarebbe sottoutilizzato. Secondo il rapporto occorre trovare un miglior equilibrio tra infrastrutture verdi e grigie, che migliorino l’efficienza, minimizzando i costi. Il messaggio è che, per esempio, piantare alberi per riforestare, fare manutenzione fluviale delle piane alluvionali o ricostituire le zone umide siano modi sostenibili ed economicamente convenienti per riequilibrare il ciclo dell’acqua, mitigare gli effetti del cambiamento climatico e migliorare la salute umana e l’accesso ai mezzi di sussistenza.

    La locuzione «soluzioni basate sulla natura» esprime un’idea in realtà molto ma molto vaga, che si allinea con l’assunto poco verosimile che il buono e il bene si trovino solo o soprattutto nella «natura», come il «cibo naturale», le «cure naturali» e altre espressioni che sono solo specchietti per allodole o mere strategie di comunicazione per promuovere operazioni che di naturale hanno ben poco e promuovono o proteggono interessi comunque economici. In ogni caso, il problema non è certo il nome che si sceglie di dare a una strategia e se quel nome è fuorviante, ma quali risultati si otterranno attraverso queste soluzioni in termini di interventi sostenibili e adattabili a diversi contesti e su diverse scale, per gestire la drammatica crisi dell’acqua.

    Gilberto Corbellini – Il Sole 24 Ore – 18 marzo 2018

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