Un sano confronto con le organizzazioni sindacali può facilitare l’innovazione nella pubblica amministrazione? La funzione delle rappresentanze sindacali conserva una valenza costruttiva nell’ottica del buon funzionamento dell’organizzazione lavorativa?
La riforma della pubblica amministrazione, in gestazione, affronta molti temi importanti: dalla dirigenza all’accelerazione delle procedure, al tema dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni e della loro concreta valutazione dei risultati raggiunti, nell’ottica di renderli sempre più aderenti, alle necessità di una società che cambia rapidamente. Tuttavia, nel lungo elenco, non è presente il tema delle relazioni sindacali, salvo un accenno al potenziamento dell’attività di controllo sulla contrattazione integrativa che, a giudizio di molti, si è resa “rea” sia di aver compromesso lo sviluppo di uno stile di leadrship più deciso nella gestione del personale sia, in certi casi, di aver concesso incrementi retributivi generosi e non in linea con le indicazioni contrattuali e legislative.
Il tema delle relazioni sindacali è stato, invece, affrontato nel provvedimento d’urgenza dell’estate scorsa, quando il Governo è intervenuto sui diritti e sulle cosiddette prerogative sindacali dimezzandone il loro ammontare complessivo.
Da un punto di vista ancora più ampio, i segnali che si colgono sulla gestione dei rapporti con le parti sociali non sembrano molto incoraggianti e, questa scarsa propensione al confronto, viene considerata una sorta di percorso obbligato, frutto non tanto di una scelta politica quanto della necessità di intervenire con grande tempestività e determinazione.
In questo contesto generale, tornando ad osservare il quadro delle regole che governano il sistema delle relazioni sindacali delle pubbliche amministrazioni, si avverte una sensazione di congelamento, come se le lancette dell’orologio si fossero fermate al 27 ottobre del 2009, data di entrata in vigore del famigerato decreto legislativo n. 150 (meglio noto come decreto Brunetta). Da allora, anche a causa dell’aggravamento dei conti pubblici, la contrattazione collettiva si è spenta a livello nazionale e si è “raffreddata” a livello locale.
All’auspicabile fine di questo lungo tunnel (circa 6 anni) si avverte l’impressione di trovarsi di fronte ad un bivio che presenta due possibili opzioni: da un lato la ripresa della contrattazione nazionale, con l’affidamento alle relazioni sindacali di un ruolo di accompagnamento ai processi di riforma in corso e dall’altro l’affievolimento del sistema delle relazioni sindacali e la gestione dei nuovi assetti funzionali della pubblica amministrazione, attraverso la definizione di regole autonomamente assunte dalle amministrazioni stesse.
Il convincimento di chi scrive è che la ripresa di un fisiologico confronto con le rappresentanze dei lavoratori sia necessario o, quantomeno, sia sconsigliabile una posizione apertamente conflittuale. Diverso è il tema delle modalità e della profondità degli argomenti da affidare al tavolo del confronto con i sindacati. Da qui la necessità di distinguere un aspetto molto importante che riguarda la recente esperienza passata. Esiste una profonda differenza tra le regole che disciplinano il sistema delle relazioni sindacali e il modo con cui si è data applicazione a tali regole. In molte circostanze si è verificato, infatti, che la pervasività delle organizzazioni sindacali, nelle scelte gestionali delle amministrazioni (ambito che appartiene esclusivamente al datore di lavoro), sia stata la conseguenza di scarsa consapevolezza della distinzione dei ruoli datoriale e sindacale. La dirigenza pubblica e, talvolta, anche la politica, hanno attribuito al consenso sindacale un significato diverso da quello proprio della contrapposizione degli interessi delle parti.
Non si può escludere che questa deviazione, rispetto al significato originario della fisiologica composizione degli interessi in termini negoziali, abbia spinto il legislatore delegato del 2009 a fare una scelta di segno opposto, restituendo alla normazione unilaterale la primazia rispetto alle decisioni negoziate. Resta, tuttavia, sullo sfondo l’interrogativo più generale che attiene al ruolo, almeno teorico, che può assumere il confronto con le parti sindacali: un sano confronto con le organizzazioni sindacali può facilitare ed accelerare l’introduzione dell’innovazione nella pubblica amministrazione? La funzione delle rappresentanze sindacali, nelle pubbliche amministrazioni, conserva una valenza costruttiva nell’ottica del buon funzionamento dell’organizzazione lavorativa? Restando sul piano strettamente teorico, è difficile sostenere l’inutilità del sindacato, specie in un paese come il nostro in cui l’amministrazione pubblica impiega 3,5 milioni di lavoratori ed è articolata in settori che coinvolgono direttamente ed indirettamente un pezzo fondamentale del tessuto sociale e produttivo. Resta, comunque, aperta la necessità di canalizzare il confronto secondo uno schema più classico e meno consociativo.
In buona sostanza, anche nel caso delle relazioni sindacali, non saranno le regole o la loro riscrittura a governare il cambiamento nelle pubbliche amministrazioni, ma i comportamenti virtuosi con i quali ciascuna delle parti in gioco si dovrà riappropriare del giusto ruolo che sia connaturale alla propria specifica funzione.
Sergio Gasparrini (Aran) – 3 aprile 2015