Le parole del presidente Bce hanno alimentato la corsa dei mercati e il calo dei tassi sui bond però il “quantitative easing” resta un’incognita. Il rischio, ora, è l’effetto boomerang. Che succede se, la prossima settimana, alla prima riunione del board della Bce dopo le ferie, non arriva l’annuncio di un inedito massiccio rastrellamento di titoli da parte degli uomini di Draghi, un “quantitative easing” all’americana, ma in salsa europea? Molti operatori sembrano darlo già per scontato.
Le Borse corrono, i rendimenti dei titoli di Stato europei, in attesa dell’ondata di liquidità, sono a minimi assolutamente inverosimili fino a poco tempo fa, l’euro arretra su quotazioni che non si vedevano da due anni. D’altra parte, anche solo rispetto alla scorsa settimana, quando Draghi ammoniva, da Jackson Hole, che «il rischio di fare troppo poco è superiore a quello di fare troppo», i segni dell’asfissia economica europea sono diventati anche più vistosi.
Le tre maggiori economie europee — ovvero i tre quarti dell’economia dell’eurozona — sono in panne. L’ Economist lo sottolinea con una copertina ironica i cui i leader europei sono a bordo della barca dell’euro che affonda, mentre Draghi cerca di gettare acqua fuori dallo scafo che affonda. L’Italia di Renzi, nonostante gli annunci a raffica di riforme e gli 80 euro distribuiti via Irpef, è in recessione. La Francia di Hollande, nonostante la svolta pro-imprese dell’Eliseo, è a sviluppo zero. Anche la locomotiva tedesca si è fermata. Il risultato è il radicarsi del pessimismo, come mostrano sondaggi e indicatori. Infatti, i prestiti delle banche al settore privato sono scesi dell’1,6%, rispetto ad un anno fa. Il credito si va restringendo senza sosta dall’aprile 2012. Particolarmente, nei Paesi più deboli: in Italia, rispetto ad un anno fa i prestiti alle imprese non finanziarie sono crollati di oltre il 4%. Secondo la Royal Bank of Scotland, dal 2009 ad oggi il credito alle imprese si è ridotto in Europa di 573 miliardi di euro. E l’ombra della deflazione è ancora più vicina: a luglio i prezzi, nell’eurozona, erano cresciuti solo dello 0,4%. Ad agosto, scommettono gli analisti, arriveranno solo allo 0,3%. Finora, a Francoforte avevano evitato di impressionarsene troppo. Ma, adesso, anche le aspettative a lungo termine di crescita dei prezzi sono in calo: neanche nel 2019, dicono gli indicatori della Bce, l’inflazione tornerebbe stabilmente al 2% che è il suo obiettivo ufficiale.
Draghi, nei mesi scorsi, aveva detto che proprio un collasso delle aspettative d’inflazione sarebbe stata la leva del “quantitative easing”. Dunque, dicono i mercati, il momento è arrivato. Ma, in realtà, i dubbi sono molti. La Bce ha appena varato un programma di immissione di liquidità, sia pure attraverso il filtro delle banche, che comincerà ad entrare in azione a settembre. Difficile che, prima ancora di verificare l’effetto di questa misura, il board di Francoforte dia il via libera ad un’altra operazione, che sovrasta e sommerge quella già decisa. Accanto alla tempistica, ci sono i dubbi politici. Francoforte lancerà una campagna di acquisti di titoli privati collateralizzati che sarà, però, limitata, perché il bacino di acquisto è ridotto. Un rastrellamento massiccio potrebbe avvenire solo sul mercato dei titoli di Stato (a meno di non lanciarsi sul mercato americano), destando sospetti e resistenze nelle istituzioni e nell’opinione pubblica tedesca. Infine, ci sono i dubbi tecnici. Un anno fa, il rastrellamento avrebbe avuto un impatto forte sui tassi d’interesse, dando una scossa all’economia. Oggi, con i tassi quasi a zero, l’impatto sarebbe assai meno pronunciato. Ecco perché molti dubitano che, la prossima settimana, nonostante le attese, Francoforte sposi ufficialmente il “quantitative easing” all’americana. In questo senso va, probabilmente, interpretato il monito del ministro delle Finanze tedesco, Schaeuble, che, di fronte alle attese che emergono dai mercati, si è preoccupato di indicare che «Draghi è stato mal interpretato ». A cosa si riferiva, allora, il presidente della Bce, se non al “quantitative easing”? Forse il punto più importante del discorso di Draghi è il riconoscimento dei limiti del “modello austerità”. I bilanci vanno salvaguardati, le riforme di struttura vanno lanciate, ma l’Europa, qui ed ora, ha bisogno di un intervento che rilanci la domanda — investimenti più consumi — e, a farlo, devono essere i Paesi che possono permetterselo. Cioè la Germania.
L’aumento del numero di disoccupati, registrato ieri, sembra indicare che non è solo questione di solidarietà europea, ma anche una necessità di ricarica della locomotiva tedesca. Sul Financial Times, Marcel Fratzscher, presidente dell’autorevole thinktank berlinese, Diw, avverte che la battuta d’arresto dell’economia non può essere ricondotta solo alle sanzioni verso la Russia, che non valgono più del 4% dell’export nazionale. Il malessere è più profondo: è una carenza di investimenti che le imprese tedesche fanno sempre meno, rispetto ai loro concorrenti nel mondo. E che, soprattutto, dovrebbe fare — invece di inseguire l’ossessione del pareggio di bilancio — il governo tedesco, perché, sottolinea Fratzscher, quasi nessuno, in Europa, investe meno della Germania in trasporti e scuola.
Repubblica – 29 agosto 2014