Dal taglio del ’92 al blocco scattato da gennaio 2014. Non c’è nulla da fare. Quando occorre reperire le risorse le pensioni vengono considerate una sorta di serbatoio di sicurezza. Ultimo in ordine di tempo a prospettare questa eventualità, il commissario alla spending review , Carlo Cottarelli, che ha suggerito l’ipotesi di imporre «un contributo temporaneo di solidarietà sui trattamenti più elevati a beneficio della fiscalizzazione degli oneri per i lavoratori neoassunti». Immediata la precisazione del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Molto chiara: «Le pensioni non si toccano». Ma proviamo a ripercorrere gli ultimi anni di sacrifici che in qualche modo i pensionati hanno dovuto sostenere nel nome dei conti pubblici. Dall’innalzamento dell’età pensionabile alla decurtazione vera e propria degli assegni.
L’ultimo intervento, in ordine di tempo, è quello della riforma Fornero, che consentirà di risparmiare qualcosa come 93 miliardi di euro. Prima c’erano stati Amato, Dini, Maroni, Prodi. Le riforme previdenziali sono state probabilmente gli interventi che più hanno consentito di tenere l’Italia a galla. Bisogna tenere conto che dal 1992 tutte le rendite non sono più agganciate agli aumenti contrattuali dei lavoratori in attività, come avveniva un tempo. Ma solo all’inflazione (e in modo parziale). In vent’anni, insomma, gli assegni Inps hanno visto scendere il loro potere d’acquisto. Non va dimenticato che le pensioni oltre i 1.500 euro erano già state congelate dal 2011 dal governo Monti e per ben due anni non sono state adeguate al carovita.
Il blocco di due anni, però, comporta una perdita che si ripercuote per decenni e sterilizza gli effetti moltiplicativi degli adeguamenti (non si prendono gli aumenti sugli adeguamenti). La cosa che probabilmente farà più discutere è il solito prelievo sulle solite «pensioni d’oro». Si tratterà di un contributo temporaneo. Il punto è che una misura del genere già esiste, è scattata il primo gennaio scorso e prevede un prelievo del 6% per le pensioni da 7.020 euro fino a 10.027, del 12% per le pensioni comprese tra i 10.027 e i 15.041 euro e del 18% per le pensioni oltre i 15.041 euro. Indubbiamente c’è un po’ di confusione. Cottarelli assicurava comunque che l’eventuale contributo avrebbe risparmiato l’85% dei pensionati, questo significa che il limite per il prelievo poteva scendere per chi incassa un assegno di poco superiore ai 2 mila euro lordi.
Secondo i dati Inps riferiti al 2012 (ultimi disponibili) le pensioni fino a tre volte il minimo (1.443 euro al mese nel 2014) insomma, sarebbero le pensioni d’argento e anche quelle di bronzo. E pensare che i pensionati italiani sono tassati molto di più dei loro colleghi del resto d’Europa. Da un recente studio della Confesercenti risulta che su una pensione pari a 1,5 volte il minimo (752 euro al mese), il 9% se ne va in tasse, contro zero euro nel resto del continente. Su una pensione di tre volte il minimo (1.500 euro mensili) il divario è ancora maggiore: 20% da noi, 9,5% in Spagna, 5,2% in Francia e addirittura 0,2% in Germania. Sono davvero questi i ricchi o i pensionati d’oro ai quali chiedere altri sacrifici di fronte a una spesa pubblica che supera gli 800 miliardi? Sembra proprio di no. Definirli pensionati d’oro è scorretto. E poco rispettoso per le persone che, legittimamente, con il loro lavoro, hanno versato consistenti contributi (pari complessivamente al 33% della retribuzione) per ricevere una rendita per la vecchiaia.
Costo della vita. Indicizzazione, la soglia ridotta al 40%
Da 17 anni è in vigore un meccanismo che, in linea generale, prevede l’indicizzazione piena solo per le quote di pensioni più basse e una parziale per le quote di pensioni superiori. Ecco, che cosa è successo ai meccanismi dell’adeguamento Istat negli ultimi anni.
2011: Terminato il triennio previsto di ampliamento della quota di pensione coperta integralmente dall’inflazione, si torna alla situazione del 2007: indicizzazione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 3 volte il trattamento minimo (fino a 1.382,91 euro lordi mensili); 90% sulla quota di pensione compresa tra 3 e 5 volte il trattamento minimo (da 1.382,92 a 2.304,85 euro lordi mensili): 75% sulla quota di pensione superiore a 5 volte il trattamento minimo (da 2.304,86 euro lordi mensili).
2012: Il governo Monti, con la manovra «salva Italia» di fine 2011, blocca la perequazione per le pensioni d’importo superiore a 3 volte il minimo per gli anni 2012 e 2013. Indicizzazione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 3 volte il trattamento minimo (fino a 1.405,05 euro lordi mensili); le pensioni di importo superiore a 3 volte il minimo non ricevono alcuna rivalutazione
2013 : Indicizzazione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 3 volte il trattamento minimo (fino a 1.443,00 euro lordi mensili). Le pensioni di importo superiore a 3 volte il minimo non ricevono alcuna rivalutazione.
2014: Indicizzazione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 3 volte il minimo (fino a 1.500 euro lordi mensili). 95% sulla quota di pensione compresa tra 3 e 4 volte il minimo (tra 1.550 e 2.000 euro). 75% sulla quota di pensione compresa tra 4 e 5 volte il minimo (tra 2.000 e 2.500 euro); 50% sulla quota di pensione superiore a 5 volte il minimo (tra 2.500 e 3.000) 40% le pensioni di importo superiore a 6 volte il minimo.
Il confronto. Assegni tagliati fino a 600 euro
Prima della riforma Monti-Fornero, l’adeguamento pieno all’inflazione riguardava tutte le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo e scendeva al 90% per gli importi fra 3 e 5 volte il minimo e al 75% oltre 5 volte il minimo. Con la legge di Stabilità 2014, fermo restando l’adeguamento al 100% per le pensioni fino a tre volte il minimo, si scende al 95% per i trattamenti fra tre e quattro volte; al 75% per gli importi compresi fra quattro e cinque volte; e al 40% per quelli superiori a sei volte (solo per il 2014 viene esclusa ogni rivalutazione). Inoltre, il meccanismo di rivalutazione non avverrà più per scaglioni. Il risultato: una media di 600 euro in meno nel triennio 2014-2016. Questa è secondo le proiezioni la perdita prodotta per circa 5 milioni di pensionati dal nuovo meccanismo. Più in dettaglio, nel 2014 la perdita sarà mediamente di 170 euro, nel 2015 di 210 euro e nel 2016 di 220 euro. Per la fascia che da va da 3 a 4 volte la soglia minima la perdita sarà meno consistente, ossia di 26 euro nel 2014, di 39 euro nel 2015 e di 45 euro nel 2016. Per quella che invece va da 4 a 5 volte la soglia minima sarà di 78 euro per il 2014, di 116 euro nel 2015 e di 123 euro nel 2016. Da 5 a 6 volte la soglia minima, infine, sarà di 182 euro nel 2014, di 309 euro nel 2015 e di 319 euro nel 2016. Per le pensioni d’importo superiore a 6 volte il trattamento minimo (sopra i 3 mila euro lordi, pari a poco più di 2 mila al netto delle tasse) l’indicizzazione sarà bloccata per il 2014, con una perdita per questo anno di 403 euro per i pensionati che si trovano in questa fascia. Queste pensioni continueranno però a perdere il proprio potere d’acquisto anche dopo il ripristino dell’indicizzazione, con – 404 euro nel 2015 e – 417 euro nel 2016. Parliamo comunque di cifre al lordo dell’Irpef.
Il Corriere della Sera – 15 marzo 2014