Animali curati con antidepressivi: altrimenti si lasciano morire di fame
Su 173 milioni di tonnellate di produzione mondiale di pesce, secondo la Fao, 90 sono garantite dalla pesca (con una parte che si trasforma però in cibo per i pesci allevati), 80 dall’acquacoltura. Un mercato, quello del pesce di allevamento, in continua espansione, perché spinto ora anche dal caro carburante che fa salire i prezzi dei pesci non allevati.
Quelli d’allevamento, però, vivono in condizioni igieniche non ovunque ottimali: l’alimentazione è sempre più a base vegetale, coprendo oramai il 780% del mangime utilizzato contro il 10% di 30 anni fa. «E la ricchezza di fibre moltiplica gli escrementi, 500mila tonnellate l’anno, nei quali si concentrano anche i residui dei medicinali somministrati ai pesci. Perché l’ambiente in cui vivono è insalubre e sovraffollato, paragonabile a quello in cui vivono i polli di batteria e gli animali si ammalano trasmettendosi parassiti l’un con l’altro», spiega la farmacologa Agnese Codignola, autrice di diversi libri sull’alimentazione.
Si calcola che un allevamento ittico su tre sia sovrasfruttato: 40 anni fa erano uno su dieci. E oramai degli oltre 20 chili di pesce che consumiamo in media ogni anno, 11 vengono da acquacoltura. Per tenere a bada pidocchi, alghe e parassiti li impiegano tonnellate di antibiotici, disinfettanti e insetticidi. Persino antidepressivi, per evitare che i pesci si lascino morire non mangiando. Sostanze che finiscono poi in mare aperto contaminando anche gli altri pesci. Pa.Ru. —