II caso. Test di Medicina: perché nel giro di una settimana il ministro Lorenzin ha cambiato idea?
di Antonio Galdo. Giusto una settimana di tempo e il ministro Beatrice Lorenzin ha pensato bene di cambiare radicalmente idea sull’abolizione dei test d’ingresso alle facoltà di Medicina proposta dalla collega Stefania Giannini. Appena il 21 maggio scorso la Lorenzin parlava di «un’ottima idea», mentre ieri si è dichiarata «perplessa e dubbiosa», che in gergo politichese significa mettersi di traverso e stoppare l’iniziativa della Giannini.
Toccherà al premier Renzi dire una parola chiara su una materia così delicata per decine di migliaia di giovani aspiranti medici, ma a prescindere dalla divergenze di opinione tra due ministri, è già chiaro che siamo in presenza di uno dei tanti casi nei quali il cambiamento, parola magica quando si pronuncia ma incendiaria quando si deve realizzare, deve fare i conti con il muro granitico del corporativismo che avvolge come una nube tossica l’intero Paese. Per giustificare la sua rapida e improvvisa inversione di pensiero, il ministro della Sanità tira fuori due argomenti, entrambi fondati, che però dovrebbero indurla a dire il contrario di quanto ha dichiarato ieri ed a battersi al fianco del ministro dell’Istruzione. Il primo argomento riguarda le difficoltà organizzative alle quali dovrebbero fare fronte le università, una volta eliminati i test d’ingresso e con un prevedibile aumento della popolazione degli studenti di circa 70-80mila unità. E’ vero: senza la barriera di quiz che fanno ridere il mondo, e non solo l’Italia, per la loro assurdità come prova decisiva per mettere piede in una facoltà di medicina, le università dovranno attrezzarsi per riscoprire un meccanismo di selezione fondato sul merito e sulle capacità. Ma non è così, forse, che si restituisce all’università la sua finzione formativa con la quale si allevano bravi medici? E che futuro può avere, al contrario, una università che, di fronte ai problemi organizzativi, si barrica dietro alle statistiche ed ai numeri senza dare alcuna vera opportunità a chi invece coltiva competenze? II secondo argomento della Lorenzin riguarda il fatto che lei si sente, forse perché interpreta in modo restrittivo il ruolo di ministro della Sanità, la portavoce delle «preoccupazioni dei medici e dei professori». Quali preoccupazioni? Probabilmente quelle di aprire le porte di una professione dove c’è la piena occupazione e dove, per effetto della curva demografica, in Italia tra appena sei anni, il tempo di una laurea da o :4:4., mancheranno 50mila medici. Dunque, il test che non garantisce né giusta selezione né pari opportunità di accesso (stiamo parlando di quiz più ridicoli di un cruciverba) allo stato serve a questo: a non toccare i diritti degli inclusi, i medici e i professori (medici) giustamente preoccupati, sulla base dei loro interessi, dal cambiamento dei criteri di selezione secondo la proposta del ministro Giannini che tra l’altro è applicata in decine, centinaia di paesi del mondo. E la prova che sono in gioco i diritti, o meglio, i privilegi, degli inclusi è scolpita in un numero che il ministro Lorenzin dovrebbe imparare a memoria prima di difendere lo status quo dell’attuale percorso di formazione perla professione medica. In Italia, lo dice Alma Laurea, il 40 per cento dei medici sono figli di medici. Tutti bravissimi, per carità, specie a rispondere ai quiz per mettere piede nell’università.
Il Mattino – 28 maggio 2014