Finalmente il 2 febbraio prossimo si aprirà la trattativa per il rinnovo del Ccnl dell’Area della dirigenza sanitaria con “appena” 13 mesi di ritardo perché il contratto che si andrà a negoziare è quello del triennio 2019-2021. Il via alla convocazione da parte del Presidente dell’Aran è stato consentito dalla ufficializzazione dell’Atto di indirizzo del Comitato di settore che era già stato in qualche modo pubblicizzato il 6 ottobre scorso, proprio nello stesso giorno in cui il Consiglio dei ministri rilasciava il parere favorevole per l’invio alla Corte dei Conti del Ccnl del comparto. Quel testo ha passato il vaglio della Ragioneria Generale dello Stato ed è stato “premasticato” – come si dice in gergo – per consentire alla Presidenza del Consiglio di dare semaforo verde all’Agenzia negoziale e avviare il negoziato.
Il passaggio attraverso le strutture del Mef è stato credibilmente tranquillo anche perché l’Atto di indirizzo dice talmente poco che è difficile immaginare su cosa si sarebbe potuto esprimere un eventuale parere contrario: il documento delle Regioni è, infatti, zeppo di locuzioni quali “compatibilmente con le disponibilità”, “comunque nei limiti delle risorse”, “senza nuovi e maggiori oneri”, “garantire l’invarianza finanziaria”, tali da non allarmare i tecnici ministeriali.
L’Atto di indirizzo per il rinnovo del contratto 2019-2021 dell’Area della Sanità è datato 13 dicembre 2022 e riguarda 134.636 dirigenti (120.063 medici e 14.573 sanitari). Il contratto precedente, attualmente in regime di rinnovo tacito, risale al 19 dicembre 2019. Il documento del 6 ottobre era informale e, per così dire, esplorativo, perché attendeva un via libera da parte del Consiglio dei Ministri, passaggio in realtà non prescritto dall’art. 47, comma 4, del d.lgs. 165/2001 ma che, per prassi consolidata, viene effettuato prima di ufficializzare l’Atto di indirizzo con l’invio formale all’Aran per l’apertura delle trattative. Si ricorda, a tale proposito, che resta ancora privo di notizie l’Atto di indirizzo per la dirigenza professionale, tecnica e amministrativa che dovrà preliminarmente risolvere la questione dei dirigenti sociologi alla luce dell’art. 34, comma 9-ter, della legge n. 106 del luglio 2021 che ha istituito il ruolo sociosanitario all’interno del quale troviamo il Sociologo, unitamente all’Assistente sociale e all’Operatore sociosanitario. Il sociologo, non appartenendo più al ruolo tecnico, non dovrebbe essere ricompreso nella sezione dell’Area delle Funzioni locali dedicata alla dirigenza Pta ma anche in quella della dirigenza sanitaria sembra estraneo: un bel rebus che, a parere di chi scrive, avrebbe dovuto risolvere il CCNQ del 10 agosto 2021 sulla composizione delle Aree di contrattazione laddove, invece, i commi 3 e 5 dell’art. 2 non affrontano nemmeno la questione.
Il testo ormai ufficiale è sostanzialmente identico a quello di ottobre se non per una diversa stesura della parte relativa alle prestazioni aggiuntive oltre ad una indicazione formale contenuta nel paragrafo 6.
Gli indirizzi formulati dalle Regioni sono, come sempre, un mix di prescrizioni generiche e indistinte con alcuni punti tuttavia – almeno tre – di sicuro impatto concreto per il negoziato. Vediamo in dettaglio, iniziando con la segnalazione che il quadro finanziario di riferimento è identico a quello del comparto, come si evince dalle Tavole 1 e 2, cioè circa il 4% del monte salari 2018 a fronte dell’inflazione che al momento viaggia intorno al 10%.
Per la dirigenza sanitaria ovviamente non viene previsto lo 0,55% del monte salari che era destinato alla revisione dell’ordinamento professionale, tematica relativa al solo comparto.
Nel paragrafo 1 – “Premessa” viene confermata la cornice negoziale della Direttiva-madre dell’aprile 2021 che, tuttavia, è estremamente generica. Si afferma che l’Atto ha recepito gli obiettivi contenuti nel Patto per il lavoro pubblico del 10.3.2021 e ciò è vero soltanto con riferimento al superamento, parziale, della tagliola dell’accessorio risalente all’art. 23, comma 2 del d.lgs. 75/2017 ma, riguardo agli altri due punti nodali, il primo – come detto – non interessa le aree dirigenziali (revisione dell’ordinamento professionale) e del secondo non c’e nessuna traccia, né nell’Atto di indirizzo, né in tutta la legislazione intervenuta nell’ultimo anno. Sto parlando della defiscalizzazione dell’accessorio che, naturalmente, non poteva essere trattata in sede negoziale ma poteva, e doveva, costituire un prodromo per l’apertura delle trattative perché credo si possa affermare che la realizzazione di quell’impegno del Governo avrebbe di per sé rappresentato un vero e proprio rinnovo contrattuale.
Il paragrafo 2 – “Linee di contesto generale” tratta i principi che affrontano tematiche ben conosciute senza proporre soluzioni e quanto precisato nell’ultimo capoverso più che un indirizzo, sembra un rimprovero: era un’altra la sede per verificare – e intervenire – riguardo alla circostanza, sicura e diffusa, della mancata applicazione del precedente sistema degli incarichi.
II paragrafo 3 – “Quadro finanziario” ricalca lo schema del comparto e prevede anch’esso a regime aumenti pari al 3,78% del monte salari 2018 cui si aggiunge, ribadiamo, un ulteriore 0,22% per il superamento del blocco del salario accessorio. Dopo la citazione integrale del comma 604 – francamente inutile, visto che è conosciutissimo – si entra nel vivo della finalizzazione delle risorse assegnate. Le tre indicazioni riguardano la specifica indennità per i medici che lavorano al Pronto soccorso (importo indistinto di 27 mln), le risorse che le leggi di Bilancio 2018 e 2019 hanno stanziato per il recupero della Ria (a regime nel 2022 per 43 mln + ulteriori 28) e, infine, quelle relative ai compensi che l’Inail deve assegnare alle Regioni per i certificati di infortunio rilasciati sul format voluto dall’Istituto. Se sulla prima tematica non c’è molto da dire se non che verosimilmente le parti negoziali troveranno (forse, ma non è detto) le stesse difficoltà che hanno suggerito al tavolo del comparto di prevedere una “anticipazione”, rispetto alla seconda questione rilevo almeno due punti contraddittori: la decorrenza “a partire dall’annualità successiva alla sottoscrizione del contratto”, cioè dal 2024 e l’esclusione dei dirigenti delle professioni dalle risorse di cui al comma 435. In relazione alla terza finalizzazione, si segnala innanzitutto la impropria citazione del comma 528 che riguarda la medicina generale, ma soprattutto non si dà alcuna indicazione in merito alla diatriba che si trascina da anni (l’inclusione o meno delle Regioni a Statuto speciale dello stanziamento) e che ha messo in stallo la ripartizione in sede di Conferenza Stato/Regioni. Senza commento la precisazione che queste risorse devono essere destinate “prioritariamente verso i servizi di pronto soccorso”: e a chi dovrebbe andare visto che i certificati sono rilasciati soltanto da loro? A proposito del PS, non può essere dimenticata la ingiuria dell’aumento dell’importo a decorrere dal 2024 che, in ogni caso, l’Atto di indirizzo dove citare. Si spera almeno che venga chiarita la questione della ripartizione al netto degli importi tra le Regioni.
Nel paragrafo 4 – “Linee principali di intervento” si inizia nella lettera a) con il sistema degli incarichi. I riferimenti al decreto 165/2001 sono piuttosto pericolosi perché i contenuti dell’art. 19 del 165 potrebbero costituire una dirompente variabile in un sistema degli incarichi consolidato da decenni. Dei tre punti suggeriti, il primo è molto generico e privo di concretezza, il secondo è al contrario estremamente preciso perché indica con chiarezza che l’importo della minima contrattuale deve essere aumentato rispetto agli attuali 1.500 euro annui, francamente inguardabili. La terza, poi, parla di una generale “armonizzazione” dei valori massimi degli incarichi ma, poiché il riferimento comprende anche la maggiorazione per i capi dipartimento, non è dato comprendere come possa avvenire “con esclusione, comunque, di maggiori oneri a carico dei bilanci degli enti del Ssn”.
La successiva lettera b) tratta dei Fondi contrattuali che si confermano in tre (posizione, risultato, condizioni di lavoro). Di rilievo è il richiamo all’obbligo di spendere tutto e di disciplinare attentamente la gestione dei residui che è sempre stata una pietra tombale della contrattazione integrativa aziendale. Viene considerata una “priorità assoluta” quella di valorizzare le condizioni di lavoro e, in particolare, quelle dell’emergenza/urgenza e le sedi disagiate. In proposito si forniscono sei specifiche indicazioni: la prima è una ripetizione priva di contenuto concreto, le successive tre ribadiscono la finalizzazioni già dette (Pronto soccorso, RIA, certificazioni INAIL), la quinta consente di aumentare il valore delle indennità del Fondo 3 ma nel limite della sua capienza (quindi senza incrementi “freschi”), la sesta indica alle parti negoziali di finalizzare il fondo di perequazione della libera professione “privilegiando” i medici del Pronto soccorso.
L’orario di lavoro è oggetto della lettera c) e sembra che il Comitato di settore sia interessato soltanto a non sconvolgere lo status quo dell’orario di lavoro dei primari, problematica aperta da più di quindici anni e mai definita in modo trasparente e “comprensibile” a tutti. Nel secondo capoverso di questa lettera c) è presente una indicazione che lascia sbalorditi perché si presume che il continuo e massiccio abbandono del S.s.n. sia dovuto alla mancata armonizzazione tra esigenze di vita e di lavoro e si auspica un aumento del part time. O si fa finta di non capire quale è il problema o non lo si vuole risolvere. Tra l’altro l’indicazione proviene dai soggetti che un anno fa per superare la carenza di medici hanno proposto al Governo la soluzione di farli lavorare di più, tesi ribadita nella proposta di emendamenti alla legge di Bilancio 2023, peraltro non accettati. Interessante è quanto prescritto nella lettera d) sulle Prestazioni aggiuntive. Premesso che sono sconosciute “le norme di legge che regolano la materia” – l’unica potrebbe essere quella del limite delle 48 ore settimanali -, sembra che questo istituto contrattuale venga contingentato perché per ben tre volte si ricorda l’invarianza finanziaria complessiva.
Ma la vera novità è quella dell’ultimo capoverso, laddove si ipotizza di coinvolgere gli extramoenisti nelle prestazioni aggiuntive per garantire le guardie notturne. In disparte da questioni ideologiche, per prevedere come potrebbe essere l’accoglienza sul campo di questa estensione ci si dovrebbe solo chiedere cosa spinge un dirigente a rapporto non esclusivo a scegliere quella tipologia di rapporto rinunciando a circa 25.000 euro l’anno. Un oculista, un ginecologo o un ortopedico – solo per citare le discipline più frequentate dagli extramoenisti – dovrebbe fare una guardia notturna per 480 euro e, anche nel caso della tariffa oraria di 100 euro – decisa da Veneto, Liguria e Emilia-Romagna –, la comparazione è insostenibile con quello che i medesimi fatturano in un solo pomeriggio di attività libero professionale pura.
La conclusiva lettera e) tratta di una non meglio precisata uniformità dell’indennità di esclusività. Forse ci si riferisce al comma 407 della legge 178/2020 (legge di bilancio 2021) che ha incrementato l’indennità di cui si parla del 27% ma differenziando i destinatari in modo irragionevole per incarico e anzianità, cioè per variabili che non hanno nulla a che fare con l’emergenza; tanto per capirci questi sono stati gli aumenti nelle buste paga di gennaio 2021:
direttore di SC = 4.987 annui
sopra i 15 anni = 3.634
sopra i 5 anni = 1.561
fino a 5 anni = 461
cioè, per intenderci, un medico sotto i cinque anni di anzianità ha avuto un beneficio di 35 euro lordi al mese: e il colmo è che nella relazione illustrativa alla norma si parlava dell’”obiettivo di rendere più attrattivo il Ssn per i giovani specialisti”. Questo obiettivo, se tre anni fa era importante, oggi è addirittura drammatico e si continua a non fare nulla di mirato e concreto.
Sul contenuto del paragrafo 5 – “Il sistema delle relazioni sindacali” credo si debba prendere atto che le funzioni dell’Organismo paritetico non interessano nessuno, né i sindacati né le aziende. Nel conclusivo paragrafo 6 “Disposizioni particolari” si ricorda la sistemazione dei dipendenti assunti in tutte e otto le professioni con il solo terzo anno di specializzazione perché è evidente che, a parte il proporzionamento a 30/32 ore settimanali, non possono avere il trattamento giuridico ed economico di un professionista assunto per concorso e in possesso della specializzazione; quanto meno l’indennità di esclusività e quella di specificità medica sono da approfondire. Infine, viene citato il Dirigente ambientale, tematica assolutamente incomprensibile perché tale figura appartiene al ruolo tecnico ed è disciplinata nell’art. 72 del Ccnl dell’Area delle Funzioni locali.
Nemmeno una parola viene spesa per la questione delle violenze nei confronti dei sanitari o come contrastare il ricorso ormai diffusissimo alle cooperative.
Riassumendo, al netto di quanto era già stato deciso dalle leggi di bilancio, i punti di rilevanza concreta che dovrà realizzare il contratto sembrano essere:
• l’aumento della retribuzione di parte fissa per i neo assunti;
• la finalizzazione nel fondo 2 dei residui dei fondi 1 e 3;
• la priorità dell’utilizzo del fondo di perequazione per i servizi di pronto soccorso;
• l’accesso degli extramoenisti alle prestazioni aggiuntive.
Non si comprende, infine, come il Ccnl intercetterà la disposizione del comma 332 della legge di Bilancio 2023 che prevede l’emolumento straordinario una tantum dell’1,5% dello stipendio. Veramente poco per tentare di salvare il Ssn dalla sua costante e inarrestabile criticità.
Il Sole 24 Ore sanita – Stefano Simonetti