di Corrado Zunino. Il costoso farmaco Tamiflu che ci avrebbe salvato dall’aviaria, che avrebbe impedito il passaggio dell’influenza dai polli all’uomo su scala mondiale e combattuto un’epidemia che nei grafici clinici avrebbe potuto fare 150mila morti soltanto in Italia, non è servito a niente. Solo a gonfiare i bilanci della Roche spa, multinazionale svizzera che grazie alle ondate di panico collettivo ha venduto nel mondo, solo nel 2009, confezioni per 2,64 miliardi di euro. Due miliardi e sei per un solo farmaco che, si calcola, a quella data è stato utilizzato da 50 milioni di persone. Inutilmente. Già. Un gruppo di scienziati indipendenti – Cochrane collaboration – ha ripreso in questi giorni un suo studio realizzato nel 2009 sul rapporto tra l’antivirale Tamiflu e l’influenza suina (seimila casi mortali nel mondo).
E se allora l’organizzazione medica no profit sosteneva che non c’erano prove a sostegno dell’utilità del medicinale per la suina, ora si spinge oltre e lo stampa sul British medical journal: per l’influenza aviaria (62 morti accertati, fino al 2006) l’antivirale della Roche è stato inutile.
Lo si certifica adesso, ma per dieci anni una teoria di stati nel mondo, sull’onda della speculazione emotiva, ha accumulato milioni di confezioni, buttato valanghe di denaro pubblico e, dopo cinque stagioni, buttato anche le confezioni scadute. Secondo la controricerca il Tamiflu (dai 35 ai 70 euro a scatola, secondo richiesta e Paese) contrappone alle influenze gli stessi effetti del più conosciuto paracetamolo. Non ha prevenuto la diffusione della pandemia, né ha ridotto il rischio di complicazioni letali. Ha attenuato solo, nei primi quattro giorni del contagio, alcuni sintomi. Una tachipirina, non certo la panacea per epidemie da kolossal.
Ecco servito un nuovo caso di inganno Big Pharma, segnalato da ricercatori che hanno rilevato errori e mancanze in ogni stadio del processo: la produzione, le agenzie di controllo, le istituzioni di governo. Gli uffici stampa della Roche hanno tempestivamente replicato, ieri: la ricerca è incompleta e frammentaria. È un fatto, però, che il Tamiflu passerà alla storia della farmaceutica contemporanea come il medicinale più gonfiato e redditizio.
L’influenza aviaria venne descritta per la prima volta in Piemonte, nel 1878, ma è dal 1996 che si è scoperta pericolosa per l’uomo. Da allora e per dieci anni focolai hanno toccato cinque continenti. Hong Kong l’origine, poi l’approdo in Australia, Cile, Centro America, Olanda, Belgio, Germania, quindi Canada, Stati Uniti, Sudafrica, di nuovo Sud-Est asiatico, il resto dell’Asia, ancora Europa. Centocinquanta milioni di volatili contagiati e, alla fine, 62 umani morti (in media un normale ceppo influenzale, ogni anno, provoca nel mondo 700 mila decessi). Grazie all’Organizzazione mondiale della sanità, spinta dai centri di controllo medico americani, a metà dei Duemila il Tamiflu Oseltamivir diventa il farmaco elettivo per il trattamento dell’influenza aviaria.
Nel novembre 2005 il presidente George W. Bush richiede al congresso 7,1 miliardi di dollari per prepararsi a una pandemia, 1,4 miliardi sono necessari per acquistare farmaci antivirali. Si scoprirà che uno degli articoli su cui si basavano le evidenze scientifiche per lanciare il Tamiflu era uno studio fatto su un solo paziente. Si scoprirà, soprattutto, che il brevetto del farmaco è stato dal 1997 al 2001 della società Gilead, il cui presidente era Donald Rumsfeld, segretario di Stato americano dell’amministrazione Bush dal 2001 al 2006: Rumsfeld mai ha lasciato il pacchetto di azioni Gilead e tutt’oggi riceve il 22 per cento dei profitti derivanti dalla vendita del Tamiflu.
In quei giorni di allarmi a comando, il segretario di Stato impose la somministrazione obbligatoria del suo farmaco alle truppe nordamericane. E i governi occidentali si superarono negli ordinativi alla Roche, che faticò a star dietro alle richieste: 2,3 milioni di dosi la Svizzera, 5,4 milioni il Canada, 13 milioni la Francia, 14,6 milioni la Gran Bretagna.
L’Italia, governo Berlusconi, Storace ministro della Salute, autorizzò l’acquisto di antivirali per il 10 per cento della popolazione: sei milioni di confezioni. La Roche spa, tra il 2003 e il 2005, quadruplicò le vendite nel mondo.
Sull’allarme aviaria, ha rivelato l’ultimo numero dell’Espresso, la procura di Roma sta indagando su un’ipotesi impaurente: il virus esistente, in Italia, fu trasformato ad arte in un’epidemia in procinto di esplodere. Psicosi generata da ricercatori e industrie farmaceutiche (in questo caso la Merial di Noventa Padovana) che portò il governo Berlusconi (ter) a spendere 50 milioni per vaccini poi rimasti inutilizzati. Per ora è stata indagata per associazione a delinquere, insieme ad altre 38 persone, Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, deputato di Scelta civica. (Repubblica – 11 aprile 2014)
Aviaria e Tamiflu. Il Cochrane: “Soldi spesi inutilmente. Quel farmaco non è efficace”. Ma Roche replica: “Analisi parziale, esaminati solo 20 studi su 77 disponibili”
di Maria Rita Montebelli. La notizia ha fatto il giro del mondo dopo la pubblicazione sul Bmj di uno studio del Cochrane. Nella review si sostiene che il farmaco, acquistato in milioni di dosi nel mondo all’epoca della temuta epidemia aviaria, in realtà non sia efficace. Ma per Roche, che produce il medicinale, lo studio è parziale non avendo tenuto conto della maggioranza dei trial effettuati.
C’è stato un momento, sul finire della prima decade del 2000, in cui nessuno più in Italia mangiava pollo, che languiva a pacchi sugli scaffali dei supermercati, nonostante sconti incredibili. Inevitabile, con quelle immagini che ti propinava il Tg alle ore dei pasti: stragi di interi allevamenti di polli, anatre e volatili di vario tipo infettati dall’influenza aviaria, in Cina e nel sud-est asiatico per lo più, ma poi anche da noi. Stessa scena da Armageddon negli aeroporti: ad accoglierti c’erano operatori con mascherine da guerra biologica pronti a ‘spararti’ il laser del termometro in fronte, per scoprire se fossi un ‘contagiato’; e tutti a trattenere colpi di tosse o starnuti per timore di essere additati come untori.
E intanto gli esperti disegnavano scenari da incubo, roba da far impallidire la pandemia di ‘spagnola’, che nel 1918 aveva decimato 50-100 milioni di persone, pari al 3-5% della popolazione mondiale. Qualcuno, tra i più arditi, in quei giorni di ‘terrorismo psicologico’ al rialzo, si spinse a prevedere una pandemia da un miliardo di persone.
In questo clima da fine del mondo o da guerra biologica (si, c’era anche chi aveva messo in giro questa voce), tutti si preoccupavano di fare incetta dell’antidoto, del farmaco in grado di salvarli dalla temibile quanto mortale influenza aviaria, che così, a differenza di quanto accadeva nei supermercati con i petti di pollo, sparì dagli scaffali di tutte le farmacie in men che non si dica. E d’altronde, la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, pur sottolineando che questi anti-virali non fossero mai stati testati su casi di influenza aviaria, né come trattamento, né come profilassi dei contatti, li indicava come strategia terapeutica da adottare in caso di pandemia.
Su questo sfondo di psicosi collettiva, le autorità sanitarie dei Paesi di tutto il mondo, sono state chiamate a fare la loro parte contro la peste del terzo millennio, disegnando piani d’emergenza degni di una vera guerra biologica e naturalmente facendo incetta degli anti-virali, che la ricerca aveva indicato come in grado di abbattere l’infezione e di limitare il contagio. Il tutto a tempo di record, tra la preoccupazione che la minaccia della pandemia fosse più che reale e il timore, mai espresso ma certamente ben presente, della gogna mediatica, qualora si fossero fatti trovare impreparati di fronte ad un’evenienza del genere.
Col senno di poi, si può dire che quell’epidemia non c’è mai stata (dal 2003 ad oggi i casi di H5N1 nell’uomo, riportati dall’OMS sono 650, di cui 386 mortali) e che probabilmente questo virus impiegherà qualcosa più che qualche mese o anno a scalare la scala biologica, passando dai polli, ai mammiferi da cortile per arrivare all’uomo in numeri da pandemia (ma naturalmente è sempre bene non abbassare la guardia). Ma intanto, le autorità sanitarie di 100 Paesi, in quel momento di allarme rosso, hanno fatto il loro dovere e quello che la gente si aspettava da loro: mettere in atto tutte le misure per proteggere la salute dei cittadini, secondo quella che all’epoca veniva indicata dagli esperti come la strategia più efficace.
Una strategia affidata al nome di un farmaco anti-virale, l’oseltamivir, comprato in stock da milioni di pezzi e immagazzinato, non senza qualche difficoltà, nei depositi di tutto il mondo. Fino a quando, alla sua scadenza, è stato eliminato, come qualunque farmaco scaduto. Le polemiche sulla quantità ingente di soldi spesi per il suo acquisto (1,3 miliardi di dollari in Usa e 242 milioni di sterline in Inghilterra) e per i presunti o reali conflitti di interesse dietro il commercio di Tamiflu evidenziati in certi Paesi (negli Usa, ad esempio) si sono scatenate da subito e sono da allora periodicamente riaffiorate.
Ma adesso c’è anche chi sostiene, studi alla mano, che quel farmaco, considerato un salvavita nel momento del panico da epidemia, in realtà non sarebbe neppure efficace. Una revisione fatta dalla Cochrane e pubblicata da Cochrane Collaboration e da BMJ il 10 aprile sostiene che il Tamiflu sarebbe in grado di abbreviare il decorso dell’influenza al massimo di un giorno e mezzo e che non ci sarebbero prove di una sua utilità nel ridurre le complicanze correlate all’influenza, né i ricoveri. In più il farmaco sarebbe gravato da effetti collaterali quali nausea e vomito (nel 4-5% dei trattati), ma anche cefalea, disturbi psichiatrici e complicanze renali. La stessa revisione osserva anche che questo farmaco, usato in prevenzione riduce i sintomi dell’influenza, ma che non è chiaro se sia in grado di ridurre i portatori del virus e dunque il suo contagio.
La review Neuraminidase inhibitors for preventing and treating influenza in healthy adults and children ha preso in considerazione 20 trial sul Tamiflu (oseltamivir) e 26 sul Relenza (zanamivir), per un totale di 24 mila persone. Per scrivere il loro rapporto, gli esperti di Cochrane si sono avvalsi dei file completi dei vari studi pubblicati, messi a disposizione dalle aziende produttrici, Roche per il Tamiflu e GlaxoSmithKline per Ralenza. I risultati, come visto, mettono in discussione il fatto che gli inibitori delle neuroaminidasi siano efficaci nel combattere l’influenza e nel prevenire il contagio interpersonale.
E dunque Cochrane e il BMJ hanno rilasciato un comunicato congiunto nel quale chiedono ai governi e alle autorità sanitarie se, alla luce di questi risultati, oggi prenderebbero ancora la decisione di fare scorte di Tamiflu, di fronte al pericolo di una pandemia influenzale.
Tom Jefferson, Carl Heneghan e Peter Doshi, gli autori della review, sottolineano che non sarebbero mai potuti arrivare a queste conclusioni, basandosi sui soli risultati pubblicati; “avere a disposizione i dati completi di un trial, anche quelli non pubblicati – sostengono gli autori – dovrebbe diventare obbligatorio dunque perché l’autorizzazione di un farmaco e il suo impiego non si possono più basare su informazioni incomplete. Ma non si fermano qui. “Invitiamo dunque la gente a non fidarsi solo degli studi pubblicati o dei commenti rilasciati da decisori sanitari in conflitto di interesse, ma a prendere visione diretta delle informazioni”.
“Questa revisione – aggiunge Fiona Godlee, direttore di BMJ – è il risultato di molti anni di lotte per poter accedere e utilizzare i dati dei trial che rimangono non pubblicati e dunque nascosti. È evidente che qualunque decisione futura sull’acquisto e l’impiego dei farmaci, in particolare se di massa, dovrà basarsi sul quadro completo delle evidenze, sia quelle pubblicate che non. E naturalmente abbiamo bisogno della collaborazione di tutte le aziende farmaceutiche”.
E la risposta di Roche non si è fatta attendere.“Roche non concorda con le conclusioni del Gruppo Cochrane Acute Respiratory Infections Group’s (ARI) relativamente al report su Oseltamivir (Tamiflu). Roche ribadisce fermamente la qualità e l’integrità dei dati sul farmaco, che riflettono non solo le decisioni di 100 autorità regolatorie in tutto il mondo, ma la stessa real-world evidence, la quale dimostra come Oseltamivir (Tamiflu) sia un farmaco efficace nella prevenzione e nel trattamento dell’influenza. Il rapporto Cochrane non ha preso in considerazione la totalità dei dati disponibili per Oseltamivir, includendo nella sua revisione solo 20 dei 77 trial a loro disposizione ed escludendo dalla loro analisi i dati real world degli studi osservazionali. Questo provoca una errata rappresentazione dell’efficacia e della sicurezza di un farmaco approvato contro l’influenza e mina il consenso di salute di pubblica globale. Ci auguriamo che vengano fatte ricerche da parte i terzi e ci impegniamo a condividere i dati clinici relativi ai nostri farmaci nell’interesse dell’avanzamento della scienza. Tuttavia non consideriamo un’autorità nel campo del valore degli inibitori delle neuroaminidasi il gruppo Cochrane ARI, che si è auto-definito come ‘inesperto nel gestire un’ampia quantità di informazioni all’interno di uno studio clinico’. Roche si augura dunque che le autorità sanitarie e gli esperti nel campo dell’influenza forniscano la loro opinione in merito, accanto alla totalità dei dati disponibili per Oseltamivir, prima di trarre alcuna conclusione”.
E’ infine delle scorse settimane la pubblicazione, su Lancet Respiratory Medicine, di una metanalisi supportata da Roche, riguardante 78 studi per un totale di 30.000 pazienti ricoverati per influenza A H1N1pdm09 da marzo 2009 ad agosto 2010, in ospedali di tutto il mondo, che è arrivato a conclusioni molto diverse; in questo studio infatti l’impiego precoce di Oseltamivir ha prodotto un abbattimento del 19% dei decessi tra gli adulti, rispetto ai non trattati. Insomma, sulla saga oseltamivir, non è ancora calato il sipario. (Quotidiano sanità – 12 aprile 2014)
Le morti per aviaria – dati OMS 2003/2014
Le linee guida sull’aviaria dell’Oms