Controlli inadeguati, sanzioni inefficaci, norme contraddittorie, studi di settore sballati. Dopo averci girato intorno per anni ieri la Corte dei Conti ha finalmente deciso di fare a pezzi il sistema tributario italiano. Un sistema dove tutto, dalla prima fase dell’accertamento all’ultima della riscossione, è da buttare. Dove i furbi vincono e gli onesti pagano, dove la certezza del diritto lascia spazio all’arbitrio e alla casualità. L’analisi, impietosa e durissima, della magistratura contabile è contenuta nella Relazione finale sugli effetti prodotti dall’azione fiscale in termini di maggiore tax compliance. In altre parole, la Corte dei Conti è andata a verificare quali siano stati i frutti delle strategie messe in atto negli ultimi anni dai governi per combattere l’evasione e incentivare l’adesione spontanea al pagamento delle tasse. I risultati sono disastrosi. La delibera della Corte
«Si tratta», scrivono i magistrati, «di uno scenario desolante, nel quale la correttezza fiscale sembra affidata più alla lealta del singolo contribuente che ad un organico sistema di regole, alla violazione delle quali si riconnettano adeguate e certe conseguenze sfavorevoli».
Ma la lealtà dei contribuenti è messa a dura prova da un sistema che scoraggia la rettitudine e premia l’illecito. «Il sistema sanzionatorio», si legge, «unito alle ridotte probabilità del controllo, appare tale da non favorire l’adempimento spontaneo, essendo manifesta in termini strettamente economici la convenienza ad attendere l’azione di controllo fiscale piuttosto che versare autonomamente l’imposta al momento in cui matura l’obbligo».
Qualche esempio? Mentre i grandi contribuenti sono oggetto di controllo pressoché costante, piccole imprese e professionisti hanno la probabilità di incorrere nelle maglie del fisco una volta ogni 33 anni. Molti «non subiscono alcun controllo approfondito nell’intero arco temporale della loro attività».
Quanto agli studi di settore, anche qui un fallimento. Gli strumenti per definire la base imponibile delle partite Iva hanno «perso gran parte dell’efficacia che ad essi era stata fideisticamente attribuita».
Dietro un tale capolavoro di assurdità normativa e di inefficacia ci sono, secondo la magistratura contabile, 40 anni di produzione legislativa «spesso contraddittoria e mal coordinata, adottata sulla spinta di emergenze contingenti e quasi mai inquadrata in una strategia di lungo periodo di contrasto all’evasione». E qui la Corte dei Conti spazza anche via il campo dalla retorica del terrore, che tanto piace a Via XX Settembre, come arma più potente in mano al fisco per spingere i contribuenti a versare quanto dovuto. Altro che blitz a Cortina, accertamenti esecutivi, lettere di minaccia. «L’auspicata evoluzione del sistema», si legge nella relazione, «implica un diverso ruolo dell’amministrazione, non più solo orientata ad un’azione repressiva e reattiva, ma anche fortemente impegnata a indurre comportamenti coerenti nella fase dell’adempimento». A questo scopo l’Agenzia delle entrate dovrebbe prevedere «un momento di interlocuzione informativa non conflittuale con il contribuente prima che egli formalizzi la sua dichiarazione». L’altro elemento chiave per cambiare volto al sistema tributario è l’impiego della tecnologia, «sia ai fini della naturale emersione delle basi imponibili, attraverso l’introduzione della fatturazione elettronica e la diffusione degli obblighi di pagamento tracciato, sia in chiave persuasiva, onde assicurare al contribuente la tempestiva e preventiva conoscenza dei dati fiscalmente significativi».
In attesa della rivoluzione, il peso del fisco resta caricato quasi interamente (l’81% dell’Irpef) sulle spalle di dipendenti e pensionati. Una «grave sperequazione», dice la Corte dei Conti. A cui si aggiunge la beffa finale: spesso l’evasore, oltre a non pagare le tasse, riesce anche a «conseguire i benefici dello stato sociale». Tartassati e mazziati.
Libero – 3 dicembre 2014