Il livello di disoccupazione cresce giorno dopo giorno ed ancor più crescerà quando si esauriranno, per naturale estinzione, gli ammortizzatori sociali potenziati e prolungati dal passato Governo.
Uno degli scogli su cui si infranse la spinta riformatrice di Berlusconi fu il famigerato articolo 18 dello statuto dei lavoratori: si sosteneva che, per consentire alle piccolissime imprese di crescere e creare occupazione fosse necessario sospendere il livello della massima tutela dei lavoratori per i nuovi assunti da aziende con 15 dipendenti, con una moratoria di quattro anni. Lotta epocale, scontri feroci, un po’ di redivive brigate Rosse, la tragica morte di Biagi, «tremilionialcircomassimo», ritirata finale.
È bastato tuttavia che nuovamente il richiamo ad eventuali modifiche della normativa filtrasse dalle stanze ministeriali, con immediata smentita dell’inconsapevole ministro, perché finalmente, dopo più di un decennio di lacerazioni, i sindacati italiani detti al tempo del loro massimo fulgore «la triplice», ritrovassero la mitica unità, bandiera che garriva al vento negli anni del consociativismo e che era ormai ridotta a brandelli dalla doccia scozzese dei governi maggioritari degli ultimi vent’anni, sostenendo che ogni intervento sul medesimo articolo avrebbe solo portato più disoccupazione.
Naturalmente la immediata difesa dell’intangibile articolo, che prevede il diritto al reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa, prescinde da tutti gli studi più o meno autorevoli, da destra come da sinistra, che hanno tra l’altro dimostrato che è ormai, dati i tempi della giustizia ed i meccanismi che ne discendono, è il costo del licenziamento una remora molto più forte dell’articolo in sé.
Studi che hanno inoltre sottolineato come il dilagare del lavoro precario come unica forma di flessibilità occupazionale legalizzata, abbia ormai alimentato la crescita di una moltitudine di minus habens in termine di diritti che , unita appunto ai dipendenti di piccole e piccolissime imprese, supera di gran lunga il numero dei lavoratori protetti dall’articolo 18.
Va tuttavia sottolineato che un mercato del lavoro rigido è quello che nell’opinione di molti economisti ha più difficoltà nella ripresa occupazionale dopo fasi critiche provocate da fattori esterni, come è evidentemente quella che stiamo vivendo. Infine, altri autorevoli studi hanno affermato che, a fronte di un contesto ormai molto deregolamentato sul versante della precarietà e di una incidenza che non appare fortemente dirimente(fatta salva la situazione di cui sopra) né nel creare né nel sottrarre occupazione, la difesa ad oltranza, pressoché automatica del contestato articolo che scatta nelle organizzazioni sindacali, ha fondamentalmente un valore ed una motivazione essenzialmente simbolici.
È tuttavia ormai evidente che anche l’attuale Governo, tecnico e riformatore, preferisce di gran lunga lottare contro altri soggetti che andare a svegliare l’articolo 18. Alcuni, riservatamente, dichiarano che da uno studio tecnico/apotropaico commissionato all’uopo, si è rilevato essere l’articolo 18 assolutamente da evitare per qualsiasi Governo aspiri alla durata ed alla effettiva riuscita delle propria opera in quanto portatore recondito del numero demoniaco che i satanisti tracciano sui muri dei cimiteri violati e delle chiese sconsacrate. In effetti, dopo una verifica di altri tecnici si è confermato che 18 è uguale a tre volte sei, per cui le riforme del mercato del lavoro si occuperanno di ogni altro aspetto, ma per l’articolo 18, come peraltro già in qualche modo ufficialmente dichiarato, il discorso finisce qui.
ItaliaOggi – 21 gennaio 2012