«Mai più proroghe per l’intramoenia allargata: la legge c’è e va applicata». Parola della ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenuta ieri alla presentazione del libro “La mangiatoia. Perché la sanità è diventata il più grande affare d’Italia». La promessa della ministra pare una risposta a chi chiedeva un’altra proroga esplicita al 31 dicembre per l’avvio della riforma approvata con la legge 189/2012 dall’ex ministro Renato Balduzzi, che prevede per i medici la possibilità di effettuare la libera professione nei propri studi a condizione che siano collegati in rete con l’ospedale. Ma la riforma contenuta nella legge Balduzzi, che avrebbe dovuto entrare in vigore lo scorso 30 aprile, nei fatti non è ancora partita. In attesa dell’accordo con le Regioni sul Patto.
La riforma, ovvero il tentativo di fissare regole e paletti per contenere la libera professione intramuraria dei medici il più possibile all’interno delle strutture sanitarie, non è affatto partita, nonostante il successivo decreto firmato da Balduzzi con cui è stata delineata l’infrastruttura di rete per il supporto all’organizzazione delle attività intramoenia.
Al tema, spinoso e molto sentito dai medici, è dedicato uno dei tavoli di lavoro previsti nell’ambito del Patto per la salute. Un confronto cruciale, quello con le Regioni, in attesa della riorganizzazione definitiva dell’organizzazione del lavoro dei camici bianchi prevista entro il 2015.
“Nessuna proroga – sentenzia Lorenzin -. Se poi la norma non funziona c’è la possibilità di rivedere il sistema. Ma non si può certamente continuare di proroga in proroga”. (il termine per l’avvio della nuova normativa sull’intramoenia introdotta dalla legge Balduzzi è scaduto lo scorso 30 aprile, ma i sindacati medici avevano chiesto un ulteriore slittamento dei tempi. In ogni caso il timing per valutare la legge e riorganizzare il sistema è fissato per il 28 febbraio 2015).
Tra i temi trattati ieri dal MInistro l’annosa questione della spesa sanitaria. “Si può lavorare ancora per ridurre gli sprechi. Io penso che servono tagli chirurgici non lineari. Ma i tempi sono sempre lunghissimi. Penso ai costi standard su cui lavoriamo da cinque anni”. Ma la volontà di andare avanti non sembra compromessa, anzi. “Ho la volontà di ottenere risultati – ribadisce – e fino all’ultimo momento porterò avanti la mia linea programmatica. Serve il coraggio di fare delle scelte e portarle avanti”. Il riferimento in questo senso è ai bisogni di salute del domani. “Vi sarà uno scenario sociale profondamente diverso da oggi, penso all’invecchiamento, al crollo demografico e alle cronicità. Per cui dobbiamo pensare al futuro e a come sostenere il sistema. Sicuramente sarà da potenziare la sanità integrativa. Poi c’è il tema dell’autosufficienza, da affrontare in un’ottica di sistema socio-sanitario più forte”.
Ma per fare tutto ciò serve l’accordo delle Regioni. “Chiedo loro di accompagnarci in un percorso virtuoso e di programmare quelle azioni (costi standard, Patto per la Salute) che ci possono nei prossimi cinque anni portare risparmi da reinvestire nel sistema: in ricerca, infrastrutture tecnologiche e assistenza”.
Dalla discussione non è rimasto fuori il capitolo della mobilità sanitaria trattato approfonditamente dal libro dei due giornalisti di Repubblica. “È una sciagura. Ma se oggi è un fenomeno che riguarda solo l’Italia, da ottobre entra in vigore la direttiva europea sull’assistenza transfrontaliera e la competizione sarà con gli altri partner Ue. Quindi dobbiamo prepararci per bene. Per fortuna ci sono molte eccellenze nel Paese ma bisogna in ogni caso cambiare prospettiva”.
Prospettiva da cambiare che riguarda anche le ‘cattive abitudini’ in termine di salute.. “Accanto al diritto alla salute – specifica il Ministro – c’è anche il dovere di mantenersi sani. Bisogna accompagnare i diritti alle responsabilità. Per esempio, camminare trenta minuti al giorno e mangiare in modo sano allontana il diabete alimentare che ci costa tre miliardi l’anno che si possono risparmiare e utilizzare in modo migliore”.
Dagli stili di vita da cambiare al federalismo sul quale il Ministro non entra troppo nello specifico ma lascia intendere che su certi aspetti una sferzata di centralismo non potrebbe fare poi così male. “C’è il Patto per la Salute che è uno strumento che tende ad uniformare, e questo è quello che prevede oggi la legge. Si ri-centrilizza ma non con un atto d’imperio. Certo, in alcuni settori come il farmaco il discorso è diverso. C’è un’agenzia di controllo unica nazionale ed è fondamentale che in ogni regione si possa avere accesso ai farmaci. Ciò che avviene oggi, quando in alcune regioni si trovano farmaci che in altre non vi sono, ha poco a che fare col federalismo”.
Sul rapporto politica e sanità. E il tema è quello del Governo clinico e della nomina di Dg e primari la Ministra è chiara: “Anche qua la legge è stata fatta. Ci sono due Regioni che stanno facendo la sperimentazione (Lazio e Sicilia). Vediamo quali sono i risultati della norma. Se non andrà bene potremo fare correttivi. Ma non basta solo una buona legge, serve la voglia di cambiare mentalità”.
Informazioni tratte da Il Sole 24 Ore sanità e Quotidiano sanità – 24 settembre 2013- riproduzione riservata