Lunedì 1 ottobre, presso l’auditorium del ministero della Salute, si svolgerà un interessante convegno internazionalea ingresso limitato: «sicurezza in base alla capienza della sala» o tema caldo? Ospite l’Istituto zooprofilattico Lazio e Toscana, si parlerà di Aie-anemia infettiva equina, antico spauracchio degli allevatori che oggi non preoccupa più.
Si controlla con il test di Coggins, la cui applicazione suscita furori animalisti: la casistica minima, riscontrata su soggetti stanziali, non giustifica sperimentazioni su muli, né spiega l’apparente voglia di scovare positività a oltranza attraverso procedure alternative. La Italian horse protection osserva come nella maggior parte dei cavalli sieropositivi la malattia sia asintomatica e probabilmente incapace di trasmettersi; nel centro di Montaione l’associazione ne ospita 8 cavalli in ottima salute, e chiede invano al Ministero di diventare osservatorio.
Ma la positività al test equivale di solito a una condanna. Se da tempo negli altri paesi i controlli si fanno solo a campione, in Italia verifichiamo l’intera popolazione registrata. Da noi infatti, nel 2006, qualcuno commerciò sacche di plasma immunizzante per cavalli da sport realizzato con sangue infetto, forse prelevato dal mattatoio (per il macello si importa molto dall’Est, culla di aie e pure trichinosi – che si trasmette all’uomo). Oltre a causare il fermo di scuderie nostrane, il siero finì in Irlanda provocando infezioni e furore; da untori dovemmo subito ripristinare il Coggins, costoso per privati e Stato. Poiché non si agiva di conseguenza a un’epidemia, fu almeno conferita ai proprietari l’opzione di non abbattere gli equini positivi al virus. Le condizioni di isolamento sono però difficili; pochissimi scelgono di salvare quegli animali che perlopiù, forse, vivrebbero senza arrecare contagio: speriamo che la scienza ci conforti.
Repubblica – 28 settembre 2012