Arianna Huffington si è schierata: riduce lo stress e rende felici. In Italia sono in pochi: funziona se c’è senso di responsabilità. Il 20 giugno è l’occasione per provarci. «Io non ho neanche il tempo di giocare con i miei figli e questo si porta il cane in ufficio… Perché? Qualcosa non va!». A leggere i 46 commenti postati sul sito l’Adige.it all’articolo «Funzionario con il cane in ufficio.
La protesta del leghista Savoi» una cosa appare subito chiara: quando si tocca il tema animali, la pacatezza va quasi sempre a farsi benedire. O di qua o di là. L’ultima a schierarsi è Arianna Huffington che nel suo «Cambiare passo. Oltre il denaro e il potere: la terza metrica per ridefinire successo e felicità» dedica un lungo paragrafo ai vantaggi di poter condividere l’ambiente di lavoro con il proprio animale. «Gli animali ci aiutano a diventare esseri umani migliori. Ci insegnano costantemente a tirar fuori il meglio di noi stessi», scrive. Poi via con l’elenco degli studi — dell’Università di Miami, di quella della Virginia, dell’Ucla’s Depression Research and Clinic — in cui si dimostra come i proprietari di animali domestici hanno più autostima, si sentono meno soli e sono più in forma e più socievoli di chi non li possiede. E ancora: la pet therapy aziendale diminuisce i livelli di stress e aumenta la collaborazione tra colleghi, la fiducia, lo spirito di squadra e, soprattutto, la produttività (oltre a diminuire le assenze per malattia). «Oggi solo il 17% delle aziende americane permette ai dipendenti di portarsi il cane o il gatto in ufficio — prosegue la giornalista — ma quel 17% include alcune fra le più innovatrici: Amazon, Zynga, Tumblr e Google».
In Italia nel 2011 si era mossa l’Enpa di Torino, chiedendo all’Unione industriali piemontesi la realizzazione di dog parking all’interno delle imprese, per consentire ai dipendenti di portare con sé il proprio animale. Non se n’è fatto nulla. Eppure, sostiene Randolph Baker, professore alla Virginia Commonwealth University, uno degli interlocutori della Huffington, «la presenza dell’animale domestico può servire come intervento a basso costo, subito disponibile, per molte organizzazioni aziendali che vogliono migliorare il livello di soddisfazione dei dipendenti». È davvero così? La casistica italiana è scarna. Qualche iniziativa privata — la stilista Elisabetta Franchi che invita i dipendenti a portare con sé il cane, qualche studio di architettura o legale — ma poche realtà imprenditoriali di ampio respiro. C’è qualcosa che frena, c’è sempre qualche altra priorità in agenda su cui concentrare le forze. Eppure nella sala delle riunioni della sede milanese di Google può accadere che, durante una videoconferenza, due orecchie spuntino dal tavolo di lavoro, e dopo le orecchie due zampe e un muso, che dà una veloce leccata al padrone prima di accucciarsi di nuovo sotto la sedia.
«Ho portato molte volte il mio pastore belga in riunione — racconta Alessio Cimmino, 34 anni, del team di comunicazione —. Anche nelle situazioni più tese e seriose, il risultato è un allentamento della tensione e una maggior positività per tutti». Google, dunque, è la dimostrazione che si può fare: dei 150 dipendenti, sono 5 o 6 a portare con una certa regolarità il cane in ufficio. «Si mette accucciata sotto il desk, si rende quasi invisibile e infatti la chiamo cane ninja», continua Cimmino. Che insiste su un punto: l’esperimento funziona solo se in azienda c’è un alto senso di responsabilità: «Ciascun padrone conosce il proprio cane e, con la maturità che richiede un posto di lavoro come questo, deve saperlo gestire nel pieno rispetto di tutti».
Alla Nintendo Italia di Vimercate, in Brianza, l’avventura degli animali in ufficio è cominciata per caso, un paio di anni fa: «Stavo portando i miei cani, un labrador e un bovaro svizzero, dal veterinario, quando sono dovuto rientrare al lavoro: li ho tenuti qui con me e da allora non ho più smesso — racconta il direttore generale Andrea Persegati —. Stanno vicini alla scrivania, quando esco dall’ufficio chiudo la porta e loro sanno che possono stare lì tranquilli. La maggioranza dei colleghi li incontra con piacere». Risultati sul clima aziendale? «Faccio fatica a dire se diminuisce lo stress, analisi serie non ne abbiamo fatte — risponde —. Ma fanno sorridere di più e abbattono tante barriere: un animale ha sempre l’effetto di avvicinare le persone».
Sono partiti con il «pet friday», i venerdì aperti ai cani, ma oggi, collaudato il sistema, può capitare che gli animali arrivino con i loro padroni anche in altri giorni della settimana. È nelle aziende più creative, quelle dove si procede per obiettivi e il lavoro è meno ripetitivo che la pratica «cane in ufficio» trova maggior ascolto. «Nella nostra sala riunione, la scorsa settimana, c’erano tre cani: i nostri collaboratori sanno che li accettiamo volentieri — racconta Maria Clara Nitti, partner dell’agenzia Eidos di Milano, una decina di dipendenti —. Lavoriamo tanto insieme, i cani aiutano ad allentare le tensioni e a rinforzare lo spirito di gruppo». Il 20 giugno prossimo sarà il «Take Your Dog To Work Day Action Pack», un’iniziativa di cameratismo umano-canino sponsorizzata dal sito Usa takeyourdog.com. Può essere l’occasione per provarci.
26 maggio 2016 – corriere.it