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    Istat. La Fornero c’è riuscita: il numero dei pensionati si sta assottigliando. Una pensione in casa riduce il rischio povertà

    pecore-elettricheInserito da pecore-elettriche5 Gennaio 2016Nessun commento6 Minuti di lettura
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    osservatorio istat-le-pensioni-Nonostante la loro leggerezza relativa le pensioni hanno evitato a numerose famiglie il rischio di cadere in condizioni di disagio economico negli anni più duri della crisi. Lo rivela l’Istat in un focus sulle condizioni di vita dei pensionati 2013-2014 pubblicato ieri e nel quale i livelli di reddito sono contestualizzati (grazie all’utilizzo dei dati Eu-Silc) nell’ambito familiare di riferimento. Nel 2013, anno in cui il Pil è calato dell’1,9% in termini reali, il rischio povertà tra i nuclei con pensionati è stato stimato pari al 16,2%, contro il 22,3% delle famiglie senza pensionati. E ciò nonostante il valore medio e mediano del reddito dei nuclei con pensionati sia stato più basso di circa 2mila euro rispetto a quello delle famiglie senza pensionati (28.400 contro 30.400 escludendo i fitti figurativi). Le famiglie con pensionati sono stimate in 12 milioni 400mila e per quasi i due terzi di queste (63,2%) i trasferimenti pensionistici rappresentano oltre il 75% del reddito familiare disponibile (per il 26,5% l’unica fonte di reddito).

    Ancor più in particolare, la presenza di un pensionato all’interno di nuclei familiari vulnerabili, quali quelli di genitori soli o di famiglie di altra tipologia, ha consentito di dimezzare il rischio di povertà (rispettivamente dal 35,3% al 17,2% e dal 28,9% al 14,2%). Mentre se ai trasferimenti pensionistici si cumulano redditi da lavoro il rischio si riduce di oltre 10 punti percentuali rispetto al totale delle famiglie con pensionati (dal 18,6% al 5,1%). Naturalmente vale il rovescio della medaglia: il rischio di povertà è elevato tra i pensionati che vivono soli (22,3%).

    Come si diceva il focus Istat incrocia dati amministrativi presi dal Casellario centrale pensioni Inps con i risultati dell’indagine campionaria su reddito e condizioni di vita dei cittadini (Eu-Silc). Nel 2014, anno in cui sono entrate in pagamento 541.982 nuove pensioni ad altrettanti beneficiari, l’età media di incasso dell’assegno è stata di 55,3 anni (63,3 se la pensione era di vecchiaia). E nel biennio il numero di pensionati è sceso di 134mila unità. Nel 2013 e 2014, in linea con quanto s’era verificato nel biennio precedente, i nuovi pensionati sono stati infatti meno numerosi dei pensionati cessati, quelli cioè che nello stesso periodo hanno cessato di percepire trattamenti (676mila). Il numero complessivo dei pensionati è così sceso nel 2014 a 16,3 milioni, per un reddito medio previdenziale lordo di 17.040 euro (+400 euro circa sull’anno precedente). Le donne sono il 52,9% e ricevono mediamente importi di circa 6mila euro inferiori a quelli maschili. Le donne pensionate sono anche più longeve dei maschi: le pensionate ultraottantenni sono quasi tre su dieci (29,9%) (19,2% gli uomini) e le ultranovantenni il 6% (contro 2,4%).

    Tra le numerose evidenze contenute nel focus Istat c’è infine la correlazione tra livello di pensione e titolo di studio. Quasi la metà dei pensionati non ha un titolo di studio o possiede al massimo la licenza elementare, mentre appena un quarto ha conseguito la licenza media. Ma se il pensionato ha in tasca una laurea il suo reddito lordo pensionistico (circa 2.490 euro mensili) è più che doppio di quello delle persone senza titolo di studio o con al più la licenza elementare (1.130 euro). (Davide Colombo – Il Sole 24 Ore)

    La Fornero c’è riuscita. Pensionati estinti

    Nel 2014 il numero di chi vive di previdenza si è ridotto di 134 mila unità Le riforme hanno salvato i conti pubblici. Ma ora siamo tutti più poveri

    La riforma targata Monti-Fornero ha raggiunto l’obiettivo al quale molti tenevano: i pensionati italiani sono ormai una razza in via di estinzione. Tra esodati rimasti sospesi nelle more della legge annunciata dalla ministra tra le lacrime e l’allungamento del periodo necessario a conquistare quello che è ormai considerato un premio più che un diritto, il numero di coloro che ricevono la rendita dalle casse previdenziali si sta assottigliando inesorabilmente. E neanche troppo lentamente: nel 2014 – affermano i dati ufficiali di Istat – i pensionati in Italia erano 16,3 milioni, 134mila in meno rispetto all’anno precedente. Un calo dovuto proprio al progressivo innalzamento dell’età pensionabile stabilito dalla riforma Fornero: si va in pensione sempre più tardi – nel 2019 occorrerà raggiungere i 66 anni e 7 mesi – e i nuovi pensionati sono meno di quelli cessati, portando alla diminuzione del numero totale di persone che percepiscono un assegno previdenziale. Infatti, sottolineano i dati Istat, a calare sono sono soprattutto i pensionati di vecchiaia, che in un anno sono scesi di circa 102mila unità.

    Diminuire il numero di pensionati, e quindi anche le spese previdenziali, era uno degli scopi manifesti della riforma Fornero e una richiesta dell’Europa. Il risultato è stato raggiunto, anche se quest’anno la sentenza della Corte Costituzionale, che ha reintrodotto l’indicizzazione delle pensioni, ha ridotto il risparmio per lo Stato.

    L’innalzamento dell’età pensionabile, però, ha un effetto collaterale: trattenere sempre più a lungo le persone a lavoro diminuisce le chance dei giovani di trovare un lavoro. E contribuisce ad alimentare la disoccupazione giovanile, nonostante il Jobs Act. A ricordarlo al Governo è il presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano. Che chiede a Renzi di «correggere un sistema pensionistico rigido e iniquo imposto all’Italia dalla Troika europea nel 2011. Liberiamoci, dunque, dall’ansia italica nei confronti della Ue anche quando parliamo di flessibilità delle pensioni, di lavoratori precoci, di lavori usuranti, di ricongiunzioni e di una aspettativa di vita che è diventata una sorta di scala mobile applicata all’età e che sta costruendo aziende popolate da vecchi lavoratori con i figli disoccupati. Più flessibilità nelle pensioni significa più lavoro per i giovani».

    Se i pensionati diminuiscono, appare in leggera crescita, invece, il reddito pensionistico lordo: nel 2014 è stato poco superiore ai 17mila euro, 400 in più sull’anno precedente. Si tratta, però, di un dato lordo, che corrisponde a poco a 13.647 euro, circa 1.140 euro al mese. Per più di un pensionato su due, sottolinea Istat, il reddito si riduce a poco più di mille euro al mese. Un reddito decisamente insufficiente, soprattutto se si considera che per quasi i due terzi delle 12 milioni di famiglie italiane con pensionati l’assegno previdenziale è il principale reddito familiare disponibile, e per il 26,5% è addirittura l’unico. Va meglio a chi ha un titolo di studio migliore: «Se il pensionato possiede un titolo di studio pari alla laurea – spiega l’istituto Nazionale di Statistica – il suo reddito lordo pensionistico (circa 2.490 euro mensili) è più che doppio di quello delle persone senza titolo di studio o con al più la licenza elementare». A percepire un assegno previdenziale sono soprattutto donne che, analizza l’Istituto di statistica, costituiscono il 52,9% dei beneficiari di assegni previdenziali. Ma sono anche gli assegni più leggeri: in media le donne ricevono mediamente importi di circa 6 mila euro inferiori a quelli maschili. Gli uomini, in media, percepiscono circa 20mila euro l’anno, le donne poco più di 14mila. Le pensionate però sono anche quelle che ricevono più integrazioni: le donne che possono cumulare più redditi pensionistici sono 2,9 milioni, l’81,4% del totale, un numero di oltre quattro volte superiore a quello degli uomini. (Marco Valeri – Il Tempo)

    5 gennaio 2016 

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