L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori vieta di utilizzare gli impianti audiovisivi di sorveglianza e le attrezzature in dotazione ai dipendenti per controllare a distanza i lavoratori. Sono le macchina a poter esser controllate. È la sicurezza dei processi a dover essere assicurata. Norma vecchia, fatta prima dell’esplosione del gps, della costante mappatura, dei molti device. Con il jobs act anche qui si cambia. Fuori dal tempo, per esempio, è considerato il fatto che l’articolo 4 prescriva che sempre «gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali», o con l’ispettorato del lavoro. Ed è uno dei punti più controversi della riforma.
Fatta la legge, la trattativa tra Parlamento e Governo (e ancora una volta tra minoranza Pd e Renzi) è nel parere non vincolante che la commissione Lavoro della Camera ha dato sul decreto attuativo. La commissione presieduta da Cesare Damiano ha chiesto tra le altre cose di escludere l’utilizzo per fini disciplinari dei dati raccolti con il telecontrollo.
Sembrava che il governo dovesse convenire, tant’è che Damiano con l’Espresso non nasconde una certa insofferenza: «Mi sono un po’ stufato. Con Poletti avevamo trovato la soluzione, se al premier come pare non piace mai quello che fanno i suoi ministri, conducesse direttamente lui le audizioni». «Io comunque non ho sentito nessuno», continua Damiano, «e spero che nulla sia cambiato».
È però il rinvio dei decreti nell’ultimo consiglio dei ministri (quello che ha invece votato la relazione su Mafia Capitale), a far pensare male. Saranno pronti, gli ultimi decreti del Jobs Act, solo per venerdì 4 settembre. Nuova convocazione del governo, niente mediazione con la Commissione. Oltre al decreto sulle semplificazioni, arriveranno anche il riordino della cassa integrazione, le nuove politiche attive e quello sugli ispettorati.
Il governo dunque sembra ora orientato a confermare la sua linea originale, contenuta nel testo licenziato in sede preliminare dal Consiglio dei Ministri l’11 giugno 2015. Resta l’obbligo di accordo sindacale per installare strumenti di controllo come le telecamere, ma non ce ne sarà bisogno per gli strumenti di controllo degli accessi, badge e tornelli, né per pc, tablet, smartphone e ogni altro strumento strettamente funzionale al lavoro.
Scatta nuovamente la necessità di un accordo solo quando si vuole introdurre uno strumento esclusivamente utile al controllo, del patrimonio aziendale o dei lavoratori. Per intenderci, bisognerà sedersi a un tavolo, con i sindacati o con il ministero, per idee come quella balenata in Fincantieri del microchip nelle scarpe degli operai, sempre per «garantirne la sicurezza». Molti giuslavoristi, però, notano come non serva, spesso, adottare particolari strumenti né inserire specifici software negli strumenti già in dotazione, che permettono già, con i programmi propri dell’attività lavorativa, il controllo e la registrazione delle attività.
Il vero punto di attrito con i deputati è comunque sull’uso delle informazioni raccolte. Le informazioni saranno utili «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro», è la versione che dovrebbe esser confermata. Quindi anche per provvedimenti disciplinari. Qual è la preoccupazione? Che avendo reso più facili i licenziamenti con gli altri tasselli del jobs act, questa possa norma possa prestare il fianco a provvedimenti sproporzionati. Unica apertura – ma non è ancora certo – dovrebbe esserci sul rafforzamento dell’obbligo di informazione da parte del datore di lavoro ai dipendenti di eventuali controlli. Si pensa a «sanzioni penali» in caso di mancato rispetto della norma che prescrive «un’adeguata informazione preventiva». (L’Espresso)
Jobs Act, controlli a distanza. Spuntano le sanzioni penali
Dal Sole 24 Ore. L’obbligo da parte del datore di fornire «un’adeguata informazione preventiva» ai lavoratori (e forse anche ai rappresentanti sindacali) sull’eventuale utilizzo di impianti e strumenti dai quali può derivare pure il controllo a distanza. Un richiamo espresso al rispetto delle norme sulla privacy; e in caso di violazioni del nuovo articolo 4 dello Statuto, la previsioni di apposite «sanzioni penali».
È questa una delle due ipotesi sul tavolo dei tecnici del governo per “rivedere” le disposizioni contenute nel Dlgs sulle semplificazioni che riscrivono la disciplina dei controlli a distanza dei lavoratori, ultimo scoglio in vista del Cdm di venerdì dove sono attesi, salvo sorprese, gli ultimi 4 Dlgs attuativi del Jobs act (oltre a quello sulle semplificazioni, sono attesi i Dlgs: sul riordino della cassa integrazione, le nuove politiche attive, le ispezioni). Con questa ipotesi di correttivo dell’articolo 4, si prova a tener conto delle osservazioni formulate dalla commissione Lavoro del Senato, spiegano fonti di palazzo Chigi, rafforzando le tutele in caso di violazioni delle regole, restando tuttavia nel solco dell’operazione di aggiornamento della disciplina sui controlli, varata in prima lettura dal governo lo scorso 11 giugno.
In quest’ottica, resterebbe quindi possibile installare impianti audiovisivi (per esempio, le telecamere) solo previo accordo sindacale (o con l’ok del ministero del Lavoro); mentre non servirebbe nulla per impiegare pc, tablet e smartphone e badge (cioè i classici strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per registrare accessi e presenze). Sempre seguendo questa prima ipotesi di modifica dell’articolo 4, le informazioni raccolte (gli esiti cioè degli eventuali controlli a distanza) resterebbero sempre utilizzabili «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro», e pertanto anche sul piano disciplinare.
L’altra ipotesi in campo sull’articolo 4, guarda invece alle osservazioni formulate dalla commissione Lavoro della Camera: verrebbe ripristinato il principio che non si possono utilizzare impianti e altri strumenti «per finalità esclusive» di controllo a distanza dei lavoratori; e in ogni caso, si sancirebbe l’inutilizzabilità degli esiti delle rilevazioni effettuate con le telecamere o con apparecchi di geolocalizzazione. Resterebbe, invece, come adesso, la parte relativa agli strumenti di lavoro (pc, tablet, etc): si possono impiegare liberamente, senza accordi o autorizzazioni, e si possono utilizzare gli esiti di eventuali controlli attraverso tali apparecchiature.
Da quanto si apprende, le due ipotesi di intervento sull’articolo 4 sono ora sul tavolo dei tecnici di palazzo Chigi e ministero del Lavoro per gli approfondimenti in vista di venerdì. La materia è delicata, soprattutto politicamente, ed è molto probabile che a scegliere siano direttamente il premier, Matteo Renzi, e il ministro, Giuliano Poletti, a ridosso (o nel corso) della riunione di governo.
Il punto è che le due ipotesi di modifica dell’articolo 4 sono molto distanti, secondo gli esperti. La scelta di puntare su adeguata informazione preventiva e rafforzamento delle sanzioni «è coerente con l’impianto della nuova disciplina dei controlli a distanza – sottolinea Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma – e affida al Garante e al codice della privacy il controllo della regolarità dell’utilizzo degli strumenti di lavoro dai quali derivi il controllo dei lavoratori». L’altra ipotesi invece, aggiunge Maresca, «non tiene conto che il previo accordo sindacale o l’autorizzazione ministeriale costituiscono già elemento idoneo a tutelare i lavoratori, rendendo pertanto superfluo il divieto di utilizzo degli esiti delle rilevazioni effettuate dal datore. In quest’ottica, quindi, la disposizione rischia concretamente di svuotare il rinvio all’autonomia collettiva e al ruolo di garanzia del ministero del Lavoro». (Claudio Tucci – Il Sole 14 Ore)
1 settembre 2015