Matteo Renzi non arretra. Domani si presenterà alla Direzione del suo partito per chiedere il via libera sul testo del Jobs act al Senato. Nessuna mediazione sull’articolo 18. Non in questa fase, nonostante e forse proprio per il pressing della minoranza che con Bersani e Cuperlo continua a chiedere al premier segretario di trovare una sintesi che mantenga l’unità del partito.
Renzi atterra e assieme alla moglie raggiunge San Miniato per partecipare nella veste di testimone al blindatissimo matrimonio di Marco Carrai. Nessuna possibilità di avvicinare il premier, che ha preferito consegnare il bilancio della sua trasferta statunitense al video registrato sul volo di ritorno:«Torniamo convinti che la pagina migliore l’Italia la debba ancora scrivere e tutti insieme la scriveremo».Lo ripeterà anche questa sera da Fabio Fazio. Difficile credere che nel pronunciare quel «tutti insieme» si riferisse alla minoranza interna ai democratici o alla Cgil, che ieri con Susanna Camusso ha lanciato un nuovo avvertimento al premier sul jobs act: «Se il governo decidesse di procedere con il decreto, bisogna proclamare lo sciopero generale». La segretaria della Cgil chiede alle altre organizzazioni sindacali, Cisl e Uil, di ricompattarsi per mettere in cantiere mobilitazioni unitarie è già domani si potrebbe tenere un incontro delle tre confederazioni.
L’ipotesi decreto non è all’ordine del giorno ma non può essere esclusa. Renzi vuole smentire quanti lo accusano di limitarsi alla politica degli annunci e quindi molto dipenderà dai tempi dei lavori parlamentari. Il Pd è diviso. E se domani, in Direzione, i numeri sono tutti a favore del segretario, al Senato il rischio che proprio il suo partito gli faccia venir meno la maggioranza non è affatto peregrino. Gianni Cuperlo ieri è tornato a chiedere al premier di mantenere l’unità del Pd. «Non si salva il Paese dividendolo», ha ammonito il leader di Sinistradem che ha chiesto al premier-segretario di assumere «una posizione cerente» con la storia del partito.
Renzi però tira dritto. Spazi di mediazione non si intravedono. Pippo Civati avverte: «C’è il rischio scissione» mentre Pierluigi Bersani è tornato a perorare l’ipotesi Boeri-Garibaldi, pubblicata sul lavoce.info, che prevede per la fase di inserimento, ovvero fino a sei anni, il mancato reintegro del lavoratore licenziato, che verrebbe risarcito esclusivamente con un indennizzo monetario parametrato all’anzianità aziendale. Ma il premier l’ha già bocciata: «Basta lavoratori di serie A e lavoratori di serie B». Anche la mediazione portata avanti dal presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino sul licenziamento discriminatorio sembra avere poche chance. In questo caso a mettere le mani avanti è la minoranza Dem che con Cesare Damiano fa sapere: «Se qualcuno pensa che la soluzione sia mantenere la reintegra per il licenziamento discriminatorio si sbaglia. Si tratta infatti di un diritto universalmente riconosciuto non solo nel nostro Paese e che si applica a tutte le imprese».
C’è chi è convinto che l’irrigidimento del premier sia prevalentemente tattico, per consentirgli di trattare da una posizione di forza. E per farlo, Renzi ha bisogno di ottenere domani pomeriggio dalla Direzione (visibile in streaming) il via libera alla delega per evitare di rimanere ostaggio dello scontro che inevitabilmente si aprirebbe all’interno della maggioranza.
«Niente pasticci», continua a ripetere Maurizio Sacconi, presidente della commissione lavoro e relatore del provvedimento, che con tutto il Ncd difende a spada tratta la delega e non esclude (vedi il capogruppo Nunzia De Girolamo) neppure il ricorso al decreto legge. Anche Fi attende al varco il premier. Berlusconi, alle prese con i mal di pancia interni al partito, dichiara di essere pronto a votare il Jobs act a meno che il premia non ceda ai «ricatti» della minoranza.
Il Sole 24 Ore – 28 settembre 2014