Se la Regione non paga Civen, Civen non paga Veneto Nanotech. E i creditori non privilegiati di questa rischiano di non vedersi restituire nemmeno il 5% – 350 mila euro su 7 milioni – promessi dal concordato preventivo. È l’ultima novità sul crac da 12 milioni di euro della società per la ricerca nelle nanotecnologie: ieri la questione è approdata all’Università di Padova, dove il Cda ha preso atto degli sviluppi sul Civen, il Consorzio tra i quattro atenei veneti sulle nanotecnologie, che operava sotto Veneto Nanotech, in liquidazione dal 2013, e sul contenzioso con la Regione circa il pagamento di contributi residui sui progetti per 2,9 milioni.
Una sentenza del Consiglio di Stato ha approvato la revoca dei contributi regionali; risultato: palazzo Balbi può trattenere il saldo e chiedere indietro tutti i contributi, rivalendosi sulle fidejussioni per quasi 6 milioni sui progetti; che le banche a loro volta chiederebbero indietro agli Atenei. Ma al recupero dei fondi regionali di Civen è legata, per 673 mila euro, il recupero di crediti di Veneto Nanotech da Civen, da cui dipende il pagamento di quel poco ai creditori non privilegiati. Se la quota non entra, come ha scritto il commissario giudiziale Michele Antonucci, per loro non ci sarà nulla. La situazione non è ancora definita: «Ci siamo opposti alla revoca e ottenuto la sospensione cautelare della riscossione – spiega Vittorio Domenichelli, il giurista del Bo che difende i quattro atenei dell’ex consorzio -. Attualmente ci sono ricorsi pendenti al Tar, al Consiglio di Stato e in Cassazione: speriamo nella revoca e intanto cerchiamo una soluzione. Sempre che la Regione sia disposta ad ascoltarci». Certo, l’ulteriore taglio dei fondi per i creditori di Veneto Nanotech potrebbe spingerli verso la soluzione che si sta facendo largo di rivalersi direttamente sulla Regione, dal 2012 socio di riferimento della società. Ipotesi liquidata da Roberto Ciambetti, presidente del consiglio regionale ed ex assessore nella liquidazione: «Mi sembra un’arrampicata fantasiosa. Nei tribunali se ne fanno tante».
Alessandro Macciò – Il Sole 24 Ore – 20 luglio 2016