Serve ancora qualche giorno perché gli ultimi atti per l’approvazione del Jobs Act vengano varati dal governo. Inizialmente, tutto lasciava presagire che finissero sul tavolo del Consiglio dei Ministri di domani, ma la concomitanza con altri provvedimenti in scadenza ha fatto propendere l’esecutivo per un rinvio, probabilmente al 4 di settembre.
Resta dunque qualche giorno per gli ultimi dettagli dei quattro decreti legislativi in tema di semplificazioni e pari opportunità; servizi per il lavoro e politiche attive; attività ispettiva e controlli a distanza; ammortizzatori sociali. “Domani, se non ci saranno cambiamenti dell’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri, è previsto che portiamo gli ultimi quattro decreti e da quel punto la legge delega sarà completamente attuata”, aveva detto in un primo momento il ministro Giuliano Poletti dal meeting di Cl a Rimini, ma poi la decisione di slittare di qualche giorno. “Nel corso del pre-consiglio – ha spiegato in un secondo momento – è stato verificato che c’erano troppi punti all’ordine del giorno con molti provvedimenti in scadenza ravvicinata: i nostri scadono a metà settembre e perciò è stato deciso che slitteranno alla prossima settimana. D’altronde tutto è pronto, si tratta solo di un problema di sovraffollamento”. Tra i quattro decreti c’è un punto – delicato, vista la risonanza che ha avuto – ancora da risolvere: quello dell’utilizzo da parte dei datori di lavoro di strumenti di controllo dei lavoratori, come computer, smartphone e telecamere.
Nella sua formulazione, il decreto prevede infatti la revisione dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori e dà modo di utilizzare le informazioni raccolte – a valle di un accordo sindacale o con il via libera della Direzione territoriale del Lavoro – attraverso gli strumenti che servono al lavoratore “per rendere la prestazione di lavoro” e attraverso gli “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” anche ai fini del controllo dei dipendenti.
Un tema che ha fatto molto discutere e sul quale il Ministero del Lavoro ha precisato, già a giugno, che la disposizione circa i dispositivi utili “per rendere la prestazione” significa che “l’accordo o l’autorizzazione non servono se, e nella misura in cui, lo strumento viene considerato quale mezzo che ‘serve’ al lavoratore per adempiere la prestazione: ciò significa che, nel momento in cui tale strumento viene modificato (ad esempio, con l’aggiunta di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il lavoratore, si fuoriesce dall’ambito della disposizione: in tal caso, infatti, da strumento che serve al lavoratore per rendere la prestazione il pc, il tablet o il cellulare divengono strumenti che servono al datore per controllarne la prestazione; con la conseguenza che queste modifiche possono avvenire solo alle condizioni stabilite dalla norma, ossia la ricorrenza di particolari esigenze, l’accordo sindacale o l’autorizzazione” amministrativa.
Ora, i tecnici sono nuovamente al lavoro per capire come affrontare la questione, viste le pressioni verso un passo indietro arrivate da più parti. Ad esempio, dalla Commissione Lavoro della Camera è arrivata la richiesta di un passo indietro, in particolare sul fatto che si possano usare gli audiovisivi ai fini delle normative sui rapporti di lavoro. Poletti ha chiarito che l’intenzione è rispettare la privacy e la trasparenza.
“La decisione finale spetta al Cdm, mi limito a osservare che la questione è stata eccessivamente drammatizzata”, spiega il professore Maurizio Del Conte, bocconiano e consigliere giuridico del premier sulle tematiche del diritto del lavoro. “Si è trattato di adeguare una normativa degli anni Settanta all’intervenuta evoluzione tecnologica e all’avvento della normativa sulla privacy”, precisa. Su smartphone e affini, “la novità è unicamente che – se le apparacchiature vengono consegnate al lavoratore al fine esclusivo di svolgere la specifica mansione – ciò può accadere senza accordo sindacale, ferma restando la possibile regolamentazione in ambito di contrattazione collettiva”. E il rischio di Grande Fratello? “E’ una figura che colpisce, ma che viviamo quotidianamente e in ogni ambito. E’ vero, le informazioni potranno essere utilizzate, ma ai fini esclusivi del rapporto di lavoro. E soprattutto, la differenza con questa norma è che oggi c’è l’obbligo di dare preventiva e adeguata informazione al lavoratore, senza la quale il datore di lavoro incorre anche in sanzioni penali. Il vero aggiornamento è questo profilo: sarebbe stato ipocrita non trattare quelle informazioni, che di fatto sono nella disponibilità del datore di lavoro, ma è stato responsabile regolamentarle e fare un’operazione di trasparenza”.
In attesa di una formulazione definitiva, dopo l’ok incassato dalla Commissioni Lavoro di Camera e Senato a inizio mese, i testi sono dunque pronti al via libera finale del governo. E per Del Conte, tematica del controllo a parte, è l’occasione per sottolineare come nel complesso “la delega sia stata un’occasione per fare una riforma di tutti gli aspetti del mercato del lavoro e di molti aspetti del funzionamento del rapporto di lavoro”. A conti fatti, ne paragona la portata a quella “delle riforme Hartz della Germania. E’ stato creato un sistema di protezione contro la disoccupazione che finalmente è universale; ci sono politiche attive mai viste nel nostro ordinamento giuridico e – pur nella difficoltà del riparto tra competenze regionali e statali – un’Agenzia che ha il potere di sviluppare una politica unitaria sul territorio”. Ecco dunque i principali contenuti degli ultimi decreti.
Semplificazioni. Come ricostruisce la Camera nella sua sintesi, il provvedimento “detta norme volte a razionalizzare e semplificare le procedure e gli adempimenti a carico dei cittadini e delle imprese, alla revisione del regime delle sanzioni, all’inserimento mirato delle persone con disabilità, alla semplificazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonché altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”. Ad esempio, si obbliga la comunicazione telematica per le questioni in materia di lavoro, si introduce l’albo unico del lavoro, si introduce la Conferenza nazionale delle consigliere di parità e via dicendo.
Politiche attive. L’innovazione principale, nell’ambito di un testo che “contiene norme volte alla individuazione dei soggetti che costituiscono la rete dei servizi per le politiche del lavoro”, riguarda la nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, attesa per l’anno prossimo. Si passa poi “alla definizione dei principi comuni alle politiche attive (che prevedono, tra l’altro, l’introduzione dell’assegno di ricollocazione) e al riordino degli incentivi all’occupazione”.
Attività Ispettiva. Il testo – che contiene la questione dei controlli a distanza – riguarda la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva, con l’istituzione di un’Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, che integra in un’unica struttura i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail e che pertanto non deve generare extra-costi per la finanza pubblica. Previsti “strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale”.
Ammortizzatori sociali. Al di là delle questioni pruriginose come il controllo, il testo rivede la disciplina degli strumenti di tutela del reddito operanti in costanza di rapporto di lavoro (cioè Cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, contratti di solidarietà e fondi di solidarietà bilaterali), riunendone la trattazione in un unico testo che abroga le leggi precedenti. La Cassa viene sforbiciata a 24 mesi, che possono diventare 36 mesi quando si ricorre ai contratti di solidarietà, nell’ambito di un quinquennio mobile. Gli ammortizzatori vengono estesi per le imprese oltre cinque dipendenti, con un principio
di contribuzione in base all’utilizzo: un contributo addizionale del 9% della retribuzione persa per i periodi di cassa (cumulando ordinaria, straordinaria e contratti di solidarietà) sino a un anno di utilizzo nel quinquennio mobile; del 12% sino a due anni e del 15% sino a tre.
Repubblica – 26 agosto 2015