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    Home»Notizie ed Approfondimenti»L’autunno caldo d’Italia. Termometri a 25 gradi e siccità da Nord a Sud. Nel 2017 solo gennaio e settembre più freddi della media trentennale
    Notizie ed Approfondimenti

    L’autunno caldo d’Italia. Termometri a 25 gradi e siccità da Nord a Sud. Nel 2017 solo gennaio e settembre più freddi della media trentennale

    Cristina FortunatiInserito da Cristina Fortunati11 Ottobre 2017Nessun commento4 Minuti di lettura
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    Luca Mercalli. Con il fresco un po’ precoce delle settimane scorse sembrava già ora di accendere i riscaldamenti, ma adesso sta tornando l’alta pressione con un contributo di aria nord-africana, che nei prossimi giorni riporterà i termometri intorno a 25 °C dal Nord al Sud.

    Una classica «ottobrata», con cieli diffusamente soleggiati a parte qualche nube bassa o nebbia mattutina sulle pianure, l’aria calma e i mari pure, un’atmosfera da stagione di mezzo indubbiamente piacevole. Tuttavia, anche se non ci sono più i 40 °C di agosto a farci soffocare, le temperature sono di nuovo troppo elevate per la stagione, di almeno 4-6 °C oltre la media, a confermare la tendenza dell’ennesimo anno da riscaldamento globale. Infatti i dati delle anomalie mensili di temperatura nell’insieme d’Italia, calcolati dal Cnr-Isac di Bologna, segnalano che per ora, nel 2017, solo gennaio e settembre sono stati più freddi della media trentennale. Per il resto ha prevalso il caldo in eccesso, soprattutto in febbraio, marzo, giugno e agosto, con 2-3 °C sopra la norma.

    Per fortuna su molte regioni, dal Nord-Est al Centro-Sud, settembre aveva riportato la pioggia dopo un’estate eccezionalmente rovente e secca, con quantità nel mese di 68 mm a Palermo, 154 mm a Milano, 156 mm a Roma, 195 mm a Venezia, e apporti di +24% rispetto al normale a scala nazionale, ma non al Nord-Ovest, dove invece i pochi acquazzoni non hanno risolto la carenza idrica, che si trascina dalla tarda primavera.

    Le uniche perturbazioni che di tanto in tanto entrano dal Nord Atlantico scivolano infatti più a Est, verso l’Adriatico, il Meridione e i Balcani, lasciando l’estremità nord-occidentale del Paese all’asciutto, sottovento alla catena alpina. Così in questo momento il Piemonte meridionale è tra le zone d’Italia più aride. All’osservatorio storico di Moncalieri, alla periferia di Torino, da inizio anno si sono misurati solo 359 mm d’acqua, il 28% in meno del normale. Ma va assai peggio tra Cuneese, Monferrato e Appennino ligure: ad Acqui Terme finora appena 251 mm, meno di metà del consueto, e con buona probabilità il periodo gennaio-ottobre 2017 diverrà il più secco nella lunga serie di misure cominciata qui nel 1914.

    Fiumi e pozzi sono praticamente asciutti nonostante si fosse reduci da alcune annate (dal 2008) generose d’acqua, il frumento è stato appena seminato in campi polverosi, e incendi forestali divampano dal Savonese alla Val Chisone in un periodo che dovrebbe essere tra i più piovosi dell’anno. Da ieri è infatti in vigore il divieto di accendere fuochi all’aperto a meno di cento metri dai boschi. Sulle Alpi occidentali gli alberi stanno perdendo le foglie secche con un mese d’anticipo, nei pascoli non c’è più un filo d’erba verde, e a 3000 metri il tepore degli ultimi giorni ha rimesso a nudo i ghiacciai che si erano appena velati di neve con le timide spruzzate di metà settembre. Per almeno un’altra settimana non si vede acqua all’orizzonte, e per decine di comuni piemontesi si prospettano rifornimenti con le autobotti.

    In seguito si spera che la pioggia arrivi, ma possibilmente non tutta insieme a fine autunno, come peraltro molte volte è accaduto con alluvioni novembrine del passato, nel 1994, nel 2011 e solo un anno fa, nel 2016. E spaventa altrettanto la prospettiva che al contrario la situazione resti ancora bloccata così per mesi, come avvenne in quel lontano 1733-34, quando le cronache del convento di Ozegna, nel Torinese, riferivano di «nove mesi e mezzo senza mai vedere pioggia», a seguito dei quali «rii e ruscelli erano rimasti siffattamente secchi» e «la maggior parte della gente molestata dalla fame si pasceva di erbe selvagge non potendone avere delle domestiche perché li orti e giardini erano dalla lunga siccità del tutto abbruciati».

    Oggi i commerci internazionali tamponano gli effetti nefasti di crisi climatiche locali e scongiurano, almeno nei Paesi ricchi di cui facciamo parte, il ripetersi di tali carestie, ma alla luce dei cambiamenti climatici dobbiamo preoccuparci degli impatti di un mondo sempre più caldo e assetato sulla produzione agroalimentare. La siccità del Nord-Ovest non è peraltro l’unico problema. Ora con la calma anticiclonica, la scarsa ventilazione e le prime inversioni termiche riprenderà anche l’accumulo di polveri sottili e altre sostanze inquinanti specialmente in pianura padana. Già lunedì, a soli tre giorni dalla sventagliata di tramontana che aveva pulito i cieli, la malsana soglia dei 50 microgrammi di PM10 al metro cubo d’aria è stata raggiunta a Piacenza, e ancor più accadrà con il ristagno atmosferico dei giorni prossimi.

    La Stampa – 11 ottobre 2017

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